Quando Mario si
presentò la prima volta in classe tutti gli altri bambini capirono
immediatamente che era diverso da loro. Lo capirono più che altro dal colore
del grembiule che, invece che essere nero come quello che tutti loro portavano,
era azzurro. Mario veniva da un paese della provincia, ma molto più a sud, e lì
aveva fatto le elementari fino alla quarta. Poi i suoi si erano trasferiti e
lui ora si ritrovava addosso gli sguardi incuriositi e divertiti di una ventina
di sconosciuti. Il fatto che provenisse da un paese del sud del Piceno era il
secondo fattore di differenza: l’accento era chiaramente dissimile a quello
degli altri. A quell’epoca la difformità di cadenza si notava molto più di
adesso: ora siamo tutti cosmopoliti, mischiati, e puoi sentire da un orecchio
qualcuno parlare romanesco e dall’altro uno che parla cinese pur stando nel
cuore delle Marche. Allora invece i paesini erano ben chiusi su se stessi e
quando arrivava uno di fuori – e per fuori intendo tutto quello più lontano di
un raggio di cinquanta chilometri - lo sgamavi alla prima parola. Il terzo
fattore di differenziazione tra Mario e i suoi nuovi compagni era il suo enorme
stomaco. Nessuno sapeva allora che si trattava di una malattia molto grave che
da lì a qualche anno lo avrebbe ucciso. Era solo un elemento fisico notevole,
ridicolo ai loro occhi e, con la sublime cattiveria di cui soltanto i bambini
sono capaci, lo chiamarono già dalla ricreazione “Mariopanza”.
Mariopanza era timido e riservato,
non intelligentissimo, buono di cuore ma diffidente verso il prossimo, forse
perché il prossimo raramente si dimostrava ben disposto verso di lui. Così si
isolò e non fece amicizia con nessuno della sua nuova classe. Passavano i mesi
ed era sempre più solo. Si innamorò alla follia di Miriana, la ragazza più
carina, che era anche il capo (la capa) delle femmine e che aveva un
caratterino che te la raccomando. Vuoi per la sua innata timidezza vuoi perché
lei non era certo facile da avvicinare per un introverso cronico come lui,
Mariopanza esprimeva il suo amore con l’adorazione estatica e statica. Passava
il suo tempo a guardarla. In quanto a parlarle nemmeno ci pensava.
Capitò che un giorno, a ricreazione,
scoppiò una lite per motivi ancora incomprensibili – ma a quell’età, si sa, le
liti sono quasi sempre incomprensibili, e non solo a quell’età - tra un bambino
della classe di cui stiamo raccontando e un altro di una classe attigua, sempre
quarta elementare. La lite si estese tra i compagni dell’uno e dell’altro e la
rissa fu evitata solo dal suono della campanella che rimandava tutti in aula.
Ma non era finita lì. Alla fine della scuola un gruppo di bambini dell’altra
classe si mise ad attendere fuori dal portone quelli della classe di
Mariopanza. La rissa, evitata a ricreazione, scoppio con tutto il suo furore
alle 12,30. E furono botte da orbi e insulti. Tutto regolare insomma. Finchè
Antonella, l’omologa di Miriana nell’altra classe, capa capessa di tutte le
femmine e un po’ anche dei maschi, decise che, per rinforzare la sua figura di
condottiera suprema in battaglia, avrebbe dovuto tagliare la testa al nemico
abbattendone il comando. Armata di un ombrellino rosso vivo, alzandolo sopra la
testa con fare minaccioso, si avventò verso Miriana decisa, forse, a
romperglielo in testa.
Mariopanza, come sempre, stava di
lato, non partecipava. Osservava la scena con quei suoi occhioni tristi e
vigilava attento sull’incolumità dell’amato bene. Si accorse subito delle
intenzioni della capessa avversaria e, per la prima volta nella sua carriera di
compagno di scuola e innamorato segreto della suddetta, intervenne. Lo fece con
impeto, decisione e anche un po’ di incoscienza. Si lanciò contro la ragazza armata
di ombrello, glielo prese con uno strattone secco facendola precipitare
all’indietro e fece a lei quelle che lei voleva fare all’altra: glielo ruppe in
testa. L’ombrello era di poco valore, leggerino, si accartocciò prendendo la
forma del cranio della povera bambina ma quest’ultima non ebbe gravi
conseguenze: fu più ferita nell’orgoglio che sul capo. Tutti videro la scena e
ogni tafferuglio si fermò all’istante. Quando ci si rese conto che Antonella
non s’era fatta (quasi) niente scoppiò una fragorosa risata collettiva. La
rissa fu immediatamente accantonata e fu pace immediata e duratura. Qualcuno
soccorse la bimba ombrellata, i più si scompisciavano dalle risate e molti
presero a dar pacche sulle spalle a Mariopanza, complimentandosi con lui per il
gesto eroico. Miriana gli diede un bacio sulla guancia. Il giorno dopo
Mariopanza tornò a sedersi al suo posto, non parlò con nessuno e nessuno parlò
con lui. Nei secoli dei secoli.
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