Mio padre all'organo di SS.Filippo e Giacomo |
Il 20
novembre di tre anni fa, mentre gli tenevo la mano, esalava l’ultimo respiro
mio padre, Cesare Craia. Babbo era, per citare una vecchia canzone di Venditti,
una montagna troppo alta da scalare. Ma noi Craia abbiamo il suo dna e, davanti
alle montagne andiamo su dritti, anche a costo di romperci il collo. Quello che
sono viene da lui, nel bene e nel male. A lui devo la mia educazione, da lui ho
imparato ad essere onesto prima di tutto nell’animo, anche a costo di perderci.
Da lui ho imparato a essere combattivo, a non arrendermi anche se, a volte,
sarebbe la via più facile. Da lui ho preso quella parte creativa che non mi da
pace e che mi spinge a inventarmi ogni giorno cose nuove, nuove sfide, nuovi
progetti. Da lui ho preso questo maledetto carattere che mi porta ad avere più
nemici che amici ma al quale non posso e non voglio rinunciare. Babbo mi manca,
ogni giorno di più, anche se con lui era un litigio continuo per poi cercarsi
continuamente e confrontarsi su ogni cosa, lui mio faro sulla strada buia, io
suo bastone per la vecchiaia, come gli piaceva definirmi. Mi manca, molto, ma
ce l’ho con me ogni istante e in ogni istante gli chiedo consiglio, mi chiedo
cosa farebbe lui al mio posto. Spesso ho le risposte che cerco. Ce le ho nel
suo ricordo, nella sua immagine di uomo impressa nella mia memoria, nel mio
spirito, nella mia mente. Ho avuto un padre eccezionale, più alto di me, più
avanti di quanto io possa mai arrivare. Ne vado fiero.
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