Dove eravamo rimasti? Di Anna Lisa Minutillo
Crollano ponti e crollano scuole, crollano
idee e valori , crollano le ribellioni interiori, crollano gli entusiasmi e gli
incanti della vita, crollano le solidità che ci accompagnavano da sempre,
crolla il modo di comunicare, crollano i dialoghi, crolla l’onestà, la voglia
di mettersi in discussione, crolla giorno dopo giorno la vita. Corrono immagini
che si accavallano fra loro, corrono ricordi e modi di fare fra le pieghe dei
miei pensieri, corrono leggeri, a volte pesanti rimpianti, corrono parole che
si dispiegano al vento come vele che ornano barche donando eleganza e candore,
corrono idee che riempiono la testa e il cuore, corre troppo tutto: eppure, a
volte, tutto sembra essere rimasto esattamente dove lo avevamo lasciato. Dove
eravamo rimasti? C’erano giovani che volevano costruirsi un futuro pochi anni
fa, c’erano le attese per una telefonata che arrivava sul telefono di casa e si
parlava fitto fitto mangiandosi la parole per non farsi sentire. C’erano
scuole che non ci crollavano addosso e ci accoglievano con maestre
protettive, che a volte avevano l’età delle nostre nonne e si pettinavano e si
vestivano proprio come loro. Non avevamo aule interattive ma solo la carta
carbone che aveva un insolito profumo, la gomma pane che usavamo più per
giocare che per cancellare e la colla nella scatolina di alluminio che
profumava di anice e cocco eppure eravamo felici di non possedere fra le mani
un cellulare, anche di litigare a volte con i compagni di classe ma lo eravamo
ancor di più quando a testa bassa ci chiedevamo scusa e ci dicevamo mi dispiace.
Queste scuole non erano forse antisismiche, possedevano lavagne di ardesia,
cancellini e gessetti colorati ma non ci crollavano addosso però. C’erano ponti
creati per unire e non per dividere o per sottolineare le diversità, c’erano
ponti di idee che ci abbracciavano tutti, che collegavano la voglia di
esplorare alla possibilità di poterlo fare. C’erano ponti che ci permettevano
di attraversare la nostra bella nazione e di giungere dove parenti ed amici ci
aspettavano impazienti da un anno, si possedevano piccole utilitarie, non
esistevano tre corsie o anche più, si impiegava una vita per arrivare a
destinazione ma ci arrivavamo, i ponti non crollavano e noi ogni volta
ricreavamo la stessa splendida magia. C’erano mamme che avevano già un esercito
di bimbi e nutrirne uno in più davvero costava enormi sacrifici, c’era poco di
cui stare allegri, c’era poco cibo nei piatti, c’era meno igiene ma si tendeva
comunque a crescere la nuova vita che giungeva, si tendeva a non abbandonarla
e a non abbandonarsi ad atti vili e squallidi, c’erano le favola da
raccontare intorno al fuoco, c’era il rumore della pioggia e il profumo del
pane appena sfornato, la condivisione, l’accontentarsi ma l’andare comunque
avanti. C’erano le persone che frequentavano la chiesa, quelle che un po’
dannate bestemmiavano tutta la loro rabbia, quelle che predicavano bene e razzolavano
male ma a nessuno veniva in mente di optare per una selezione decidendo di
togliere la vita a chi non la vedeva come loro, al massimo il solito
“chiacchiericcio” di paese, le solite battutine, ma privare qualcuno erigendosi
a giudice arbitro delle vite altrui, questo mai. C’erano le persone che
siglavano accordi ed impegni con una stretta di mano, che fondavano società
collaborando, che in modo equilibrato e coscienzioso distribuivano gli incassi,
nessuno giocava con la vita di nessuno anche se questo voleva spesso dire
arrivare per primi in azienda ed andare a casa per ultimi. Lo stile di vita non
mutava poi molto, rispetto a quello dei sottoposti, si cercava di essere
onesti, di non cedere a ricatti, di non svendersi a strani giri che i li avrebbero
fatti girare in modo strano successivamente per poi abbandonarli sul lastrico
subito dopo. Erano pochi gli aerei privati, le isole acquistate, i villaggi
aperti per ospitare la creme dell’elite.
Si dava importanza ad altre cose, si
teneva sempre vivo il filo che riconduceva alla provenienza, non ci si
dimenticava di quanto fosse costato ai padri dell’epoca riuscire a fornire
un’istruzione che andasse oltre la semplice licenza media. C’erano case
coloniche e distese di girasoli, fiori di campo e torrenti in cui spesso ci si
lavava o si lavava la biancheria, c’erano coltivazioni di frutta e grano,
c’erano profumi e scenari meravigliosi e le strade erano di terra battuta, ci
si impolverava tutti e si usavano spesso carretti, ma non c’era la lentezza dell’aridità
ma la lentezza dell’attendere l’arrivo di qualcosa o di qualcuno. Non si
deturpavano paesaggi, non si scavava per nascondere scorie pericolose, amianto,
rifiuti tossici, olii esausti non si moriva di cancro da bambini, ci si cibava
di prodotti che di chimico non contenevano nulla, che venivano innaffiati dalla
pioggia oppure dall’acqua sorgiva dei pozzi e un pomodoro profumava di
pomodoro, lo potevi addentare solo lucidandolo con un canovaccio da cucina. Non
si costruivano mega collegamenti stradali per riciclare denaro “sporco”, non ci
si appropriava della terra che i contadini avevano gelosamente coltivato
pagandola quattro soldi perché terreno agricolo e poi usarla per continuare a
gettare cemento sporco che serve solo a sporcare ed a creare percorsi ad alto
costo che nessuno, o pochi, utilizzano. C’erano bambini che assomigliavano
a bambini e non a piccole rockstar che si atteggiano fin da piccoli, non
venivano cresciuti per poi essere gettati fra le braccia di personaggi illustri
per assicurarsi in qualche modo un futuro, per scendere a compromessi ma per
aiutare la famiglia, per cercare di dare loro un istruzione, per fargli
conoscere quanto si faccia alla svelta a giudicare senza conoscere prima quanto
sia bassa la terra. Ora ci sono i bulli, quelli preparati, quelli che più hanno
e più pretendono, quelli che escono la sera e rientrano a casa al mattino
successivo a tredici anni, ma sbagliano loro oppure si ritrovano genitori che
non sono in grado di ricoprire quel ruolo? Ora che per preparazione,
evoluzione, modernità, maturità non dovrebbero esistere diversità si educa
alla non accettazione e al ti do quello che vuoi
così almeno non mi stressi più. C’erano vicoli in cui non c’era nulla se non il rumore dei passi ma si
cantava insieme la sera e si colorava il silenzio con le voci, c’erano piazze
che venivano chiamate piazze ma da offrire avevano solo quattro panchine ed una
piccola fontana oppure un lavatoio ma ci si ritrovava ad ascoltare i racconti
di chi aveva visto l’orrore della guerra e la portava ancora nel profondo degli
occhi. C’era l’odore del pane, il profumo del bucato steso al sole in
giardino, le porte di casa che venivano lasciate aperte, c ’era la vita,
quella fatta di piccole cose e si era contenti. Ora ci siamo noi, ora ci sono
le nostre domande ed i nostri dubbi, ora c’è la voglia di riscoprirsi bambini
per guardare il mondo con gli occhi con cui avrebbe bisogno forse di essere
guardato, ora c’è chi legge e potrebbe dirmi che è la solita banale
retorica, quella del si stava meglio
quando si stava peggio e forse suonerà anche così non lo so e comunque non spetta a me dirlo.
So che ci sarebbe tanto da aggiungere, ci
sarebbe da dire che si le scuole non crollavano ma non davano la preparazione
che danno ora ed allora perché con tanta preparazione non siamo in grado di
regalare l’amore? Ci sarebbe da dire che non si può pensare al ricoprire grandi
distanze con carretti o biciclette ed allora perché nelle nazioni dove questo
avviene le cose vanno avanti comunque e non ci si brucia i polmoni? Ci sarebbe
da dire che non sempre le mamme erano delle buone mamme, che le donne subivano
anche tempo fa, che alcune i loro figli li hanno anche abbandonati ma allora
perché si conoscono così tanto bene le leggi quando si tratta degli altri e non
si conoscono quando lo stesso problema potrebbe riguardare noi? Perché non si
capisce che i bimbi si possono partorire in ospedale essendo assistiti e che si
può decidere di lasciarli in adozione senza mettere a repentaglio una vita che
si tiene in grembo per nove mesi? Si potrebbe dire che le vie di comunicazione
servono, accorciano le distanze ed allora perché la domenica sulla bre-be-mi si
riesce a giocare a pallone da quanto è frequentata? Mi si potrebbe far notare
che si moriva anche prima, certo, ma se accadeva era solo perché mancava il
modo per curarsi all’epoca e non come accade ora invece per la corsa sfrenata
all’inventarsi il modo per farci morire come se dessimo fastidio, dopo tutti
gli sforzi che facciamo per cercare di vivere nonostante tutto e tutti in modo
dignitoso, libertà che non sanno più come fare per strapparci di mano. Mi si
potrebbe contestare che la tecnologia serve, ha un ruolo determinante per le
comunicazioni, per accorciare le distanze ed allora qualcuno mi sa spiegare
perché si faccia così tanta fatica a donare un abbraccio, a dire un ti amo
oppure a chiedere scusa? Mi scuso con tutti voi, mi scuso per non essere così
alla moda, mi scuso per apparire come una nostalgica dei tempi andati, mi scuso
perché il rumore mi da noia ed amo la voce della natura, mi scuso per non
essere all’altezza oppure per non essere riuscita a cadere così in basso, mi
scuso perché amo la vita ed in molti accadimenti sento solo odore di
sangue.
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