Riflettevo sul caso Crocetta, un personaggio che non mi è mai piaciuto
né politicamente né moralmente, ma che oggi mi ispira solidarietà perché,
secondo me, è vittima non tanto di un complotto mafioso che lo vuole uccidere
politicamente, come qualcuno ha ipotizzato, ma di un sempre più diffuso
atteggiamento nei confronti della comunicazione.
Oggi abbiamo a disposizione dei mezzi formidabili per poter esprimerci
e, soprattutto, comunicare il nostro pensiero. I social network ci offrono la
possibilità, totalmente nuova, di poter scrivere e diffondere le nostre idee su
qualsiasi argomento, dopodiché queste assumono una vita propria e viaggiano, a
volte sparendo nel nulla, altre ingigantendosi e acquistando forza. È uno
strumento potente e pericoloso. Ultimamente Umberto Eco si è occupato dell’argomento
soffermandosi, però, sull’aspetto legato alla qualità dei messaggi che possono
circolare. Io vorrei, senza ambizione alcuna di paragonarmi al dotto letterato,
posare l’attenzione sul lato psicologico.
Di stress è inutile che parli, tutti sappiamo quanto ne siamo vittime
e quanto questo crei in noi stati d’ansia, depressioni, frustrazioni e,
talvolta, piccole o grandi psicopatologie. Dalle cronache vediamo una società
che diventa violenta, vediamo esplosioni di rabbia incontrollate e pericolose
manifestarsi anche in persone che mai avremmo creduto capaci di tanto. La
violenza fisica, quindi, sta diventando un fatto quasi abituale, anche se, per
ora, limitato a casi particolari, per quanto frequenti. Ma questa violenza
deriva, credo, dalla compressione dello stress, delle ansie e delle
frustrazioni quotidiane che, improvvisamente, trovano un varco e sfogano.
Nei social network accade la stessa cosa e, non essendoci la
limitazione data dall’uso della fisicità che, spesso, diventa la barriera che
ci mantiene lucidi nel rapporto tra persone nella vita reale, nel mondo
virtuale tutta la rabbia incamerata trova facile sfogo non limitata dalle
inibizioni fisiche. E, molto spesso, questa si convoglia automaticamente e con
maggior facilità verso persone più in vista delle altre, che magari dicono
qualcosa di fastidioso o compiono gesti che ci disturbano. Così esplode la
reazione che è sempre estremamente sproporzionata, illogica e, soprattutto,
violenta. C’è l’istinto a fare male che trova tutta la libertà di esprimersi
nell’inconscia quanto errata certezza che il non poter nuocere fisicamente causi meno dolore.
Crocetta è una vittima di queste esplosioni di violenza sproporzionate
e illogiche. Ma non è il solo. Chiunque abbia un minimo di visibilità mediatica
è vittima di questi sfoghi. Io lo so bene pur essendo la mia visibilità
infinitamente più piccola di quella alla quale mi sto paragonando. Eppure, se
leggete certi commenti su alcuni post del blog o sulla pagina Facebook, vi
potete rendere conto di come funzionino certi meccanismi. Pochi giorni fa ho
pubblicato lo sproloquio di una persona che si è liberata probabilmente di
tutte le sue frustrazioni vomitando addosso a me quintali di veleno. Ma non è
il primo e non sarà l’ultimo.
E torniamo, per chiudere, a Crocetta. Sono convinto che non si possa
giudicare una persona non perché ha detto qualcosa ma perché non l’ha detta.
Sono convinto che il caso parli di niente. Sono convinto che Crocetta stia
facendo da antistress per un manipolo di esagitati che cercano uno sfogo. Non c’è
rimedio a questo, perché non si possono mettere bavagli alla comunicazione.
Possiamo solo cercare di controllarci. Possiamo magari evitare di unirci ai
cori quando non abbiamo nemmeno capito di cosa si parla. Ma di Crocetta ce ne
saranno sempre di più perché di psicotici in cerca di conforto il mondo è
pieno.
Luca Craia
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