I miei avevano
una casetta con giardino a Civitanova Marche e d’estate si andava a villeggiare
lì, appena finita la scuola, coi nonni, mentre i miei genitori restavano al
lavoro a Montegranaro. Della mia fanciullezza ho ricordi stupendi in quella
casa e delle vacanze al mare coi nonni. Nonno Peppe specialmente era il nonno
per eccellenza: complice, sempre presente, protettivo, disposto a tutto per
farmi contento. Come potevo non adorarlo? Nell’estate del 1981, però, cominciai
a diventare insofferente. Mi annoiavo, mi mancavano gli amici di Montegranaro,
mi serviva un po’ più di libertà.
Quell’anno
avevano preso l’ombrellone per la stagione da Gianfranco, bagnino storico del
lungomare sud di Civitanova, due fratelli che avevo conosciuto, mi pare, in
parrocchia: Giovanni e Piero. Venivano giù da Montegranaro tutti i giorni con
la Lancia Fulvia marrone del padre, Armando il mediatore. Con loro portavano un
altro ragazzo che poi rincontrai al catechismo della Cresima: Andrea. Andrea
viveva in un vecchio palazzo nobiliare in via Castelfidardo, proprio accanto a
casa di Giovanni e Piero, e tutte le mattine si trovava puntuale per partire.
Giovanni era più grande di me di tre anni. Piero e Andrea erano miei coetanei.
Coi nonni avevamo
l’ombrellone da Mariano, che ora si chiama Mirò, lo stabilimento balneare
accanto a Gianfranco. Fu quindi facile incontrarsi sul bagnasciuga e
approfondire la conoscenza. Due giorni ed era come se fossimo amici da sempre.
Erano gli anni dei primi bollori sessuali. Facile intuire che l’argomento di
conversazione più ovvio e frequente erano le ragazze. E al mare ce n’erano. E,
incredibile, erano veramente poco vestite.
Un giorno ci
giunse notizia, non ricordo da chi, che era stato avvistato un topless
(naturalmente si intendeva ragazza in topless e, per avvistamento, si intendeva
davvero un avvistamento, quasi fosse un UFO) dalle parti dello stabilimento
“Contessa”, al di là del porto, uno dei primi del lungomare nord. Decidemmo di
andare. Facemmo tutto il tragitto fino al molo sul bagnasciuga. Genialmente non
portammo con noi ciabatte o altre calzature e arrivammo ad attraversare il molo
e i cantieri navali scalzi. Immaginate che piacere l’asfalto rovente a piedi
nudi. Agognavamo di nuovo la spiaggia ma sembrava non arrivare mai. Ma arrivò,
e con essa la cocente, nel vero senso del termine, delusione: nessun topless:
ci avevano preso per il naso. Tornare indietro fu un’impresa titanica. Avemmo
le vesciche ai piedi per giorni.
Le mattinate
trascorse con i miei nuovi amici erano meravigliose ma, di conseguenza, i pomeriggi
da solo diventavano quasi insopportabilmente noiosi. Mi dispiacque molto per i
miei nonni, specie per nonno Peppe che ne fu estremamente amareggiato anche se
capì, ma chiesi ai miei di poter stare con loro a Montegranaro. Acconsentirono.
Così iniziai ad
alzarmi presto al mattino per andare al mare a venti metri dall’ombrellone dei
nonni con i miei amici, per poi tornare a casa all’una con un caldo infernale
nella Fulvia di Armando. Tutto questo per poi poter uscire con loro anche di
pomeriggio. Follie di adolescenti, ma comprensibili.
Quell’anno
conobbi una ragazza, Antonella. Veniva da Fermo ma aveva parenti a Civitanova.
Il modo in cui la conobbi potrebbe essere utilizzato da Woody Allen in un film:
con il trio di cui dicevo prima facevamo a gara di tuffi con la rincorsa.
Eravamo molto giudiziosi: facevamo quel gioco solo se c’era spazio a
sufficienza in acqua e sul bagnasciuga. E quel giorno sembrava che il tratto di
spiaggia che intendevamo usare fosse deserto. Sembrava…
Mi tuffai con
una lunga rincorsa, feci una bella parabola aerea, mi inserii in acqua
perfettamente di testa con linearità olimpica e…cozzai. Ma cozzai molto. Una
botta paurosa. Mi sembra ancora di sentire il botto. Avevo preso in pieno
un’altra testa. Quella, appunto, di Antonella, che se ne stava a nuotare
tranquilla sott’acqua con la maschera. Non so come mi ritrovai steso sulla
battigia semisvenuto e, quando mi ripresi un po’ al mio fianco c’era questa
ragazza che si teneva una mano sulla fronte e si lamentava. Le chiesi scusa,
lei mi disse stronzo, e da lì diventammo amici. Forse un po’ di più che amici,
ma forse era solo la mia immaginazione. A quell’età è tutto molto confuso,
specie coi sentimenti, ma stavo bene con lei e lei, credo, con me e questo era
l’importante. Fatto sta che il resto dell’estate lo passai quasi tutto con lei,
con buona pace dei miei nuovi amici. E, naturalmente, alla fine delle vacanze,
fine anche dei giochi. Non l’ho più rivista.
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