Questo scritto di don Dante Filomeni che ho ritrovato e che risale al
1966, pur fornendo alcune informazioni imprecise, da un altro punto di vista ci
è prezioso che capire la storia della priorale, della “cripta” e il suo restauro degli anni ’60.
Ve lo ripropongo all’indomani della riapertura della chiesa di SS.Filippo e
Giacomo come documento testimoniale da conservare. Le foto sono quelle
originali fatte scattare da Don Dante Filomeni a Vincenzo Anniballi.
Luca Craia
Come non si può Parlare di Montegranaro senza risalire
all’antica VEREGRA così non si può parlare dell’origine del cristianesimo nella
nostra zona, senza mettere in debita luce la funzione della Priorale che si
intitola ai SS. Filippo e Giacomo, venerati come Patroni del luogo dagli
antichi Veregnani, i primitivi abitatori della nostra terra.
Dopo gli attenti studi di archeologi insigni non v’è
ormai più alcun dubbio che l’antica Veregra, di cui parla Plinio e di cui si
trovano cenni frequenti sia nei documenti medioevali sia in quelli di epoche
posteriori, sorgesse alle falde della collina su cui poi, in epoche più
recenti, venne costruita la nostra Montegranaro. Ne sono attestati
inconfutabili i resti di vetuste mura castellane tuttora esistenti e visibili
lungo la strada che va da Porta Romana alla Borgata di Santa Maria, resti che
costituiscono la zona da noi con giustificato orgoglio chiamata “archeologica
“.
Il prof. Don Guido Piergallina segnalò a suo tempo
alla Sopraintendenza alle Antichità di Ancona di resti di una necropoli, la cui
struttura appare perfettamente identica a quella di numerose altre costruzioni
romane del Piceno: solide volte a seminterrato adibite alla conservazione di
derrate alimentari, cereali, frumento, ecc.
La zona, è notorio, ha sempre prodotto grano in
abbondanza e questo giustifica la presenza di numerosi resti di granai, vasti
depositi, dove il frumento, prodotto dagli “AGRI FRUMENTARI” veniva raccolto e
conservato. Fin dai tempi delle guerre Annibaliche e via via fino ai periodi
delle guerre civili e delle prime campagne dell’Impero i Romani sentirono il
costante bisogno dell’approvvigionamento delle truppe e risolsero quindi i loro
problemi logistici coll’oculatezza ed il senso pratico, che sono le costanti
della loro linea di condotta e della loro politica. Le legioni romane che
passavano di continuo lungo le grandi strade consolari, SALARIA e FLAMINIA per
raggiungere poi la via EMILIA, che collegava la Capitale al settentrione
(BOLOGNA MILANO), si rifornivano di derrate lungo il viaggio, prelevandole dai
depositi che essi avevano a tal uopo costruiti. L’origine della nostra Veregra,
va quindi inquadrata in questa cornice storica. Secondo testimonianze dello
storico Plinio, l’Imperatore Augusto, sempre per esigenze logistiche, tolse una
parte de! Territorio alle tre colonie circostanti “FIRMUM – PAUSULA – CLUANA”
(quest’ultima poi non era colonia bensì metropoli), per formare un vasto” Ager
Frumentarius” che, per la sua estensione ed importanza, prese il nome di “VEREGRA”
quasi ad indicare un ager frumentarius per antonomasia.
Sempre seguendo le testimonianze di Plinio, i
Veregnani, pagani ed idolatri come tutti gli altri popoli circostanti,
adoravano con particolare culto la dea “Cerere” (dea delle messi) ed a lei, che
consideravano nume tutelare della loro terra, eressero un tempio. Tutto questo
rientra nell’ordine normale delle cose perché ormai noi sappiamo che Cerere, i
cereali, il frumento, Veregra, il grano e Montegranaro sono concetti concreti
che si allineano logicamente lungo il filo conduttore di questo modesto cenno
storico.
Agli albori del cristianesimo, una costituzione
imperiale del 14 Novembre 435 ordinava di non demolire i templi pagani, il più
delle volte veri capolavori artistici, e la cui demolizione portava ad ingenti
spese. Era ammesso che tali templi fossero “cristianizzati”, il che avveniva
con il semplice impianto della croce.
Anche il tempio di Cerere nella nostra Veregra venne
cristianizzato ed il culto della dea sostituito da quello dei SS. FILIPPO e
GIACOMO, che vennero da allora venerati come i patroni del paese. La loro
festa, come l’antica festa di Cerere, si celebra il 1 Maggio.
La priorale dei SS. F. e G. deve giustamente
considerarsi la prima chiesa cristiana del luogo: il primo centro di diffusione
del cristianesimo nel nostro paese. Dopo la caduta dell’impero romano
d’occidente, in quel periodo oscuro che va fino al secolo IX, Veregra dovette
subire la stessa sorte toccata alle altre colonie romane; dovette conoscere la
gravosa ed infausta dominazione dei Goti, il peso del giogo bizantino (l’impero
aveva allora sede nella Vicina Ravenna) e la lunga oppressione dei Longobardi.
Dell’antica prosperosa e brillante colonia romana non rimasero che i ruderi
sepolti da fitte boscaglie o mezzo sommersi dagli acquitrini in una desolata
campagna incolta. Fu appunto contro questo stato di squallore e di rovina che
si prodigarono, agli albori del IX secolo, i primi Monaci Benedettini Farfensi.
Essi svolsero un’intelligente opera di risanamento agricolo, esercitando la
loro giurisdizione attraverso i priori di S. Vittoria in Matenano.
Difatti, secondo la testimonianza del “Chronicon
Farfense”, pubblicato per la prima volta dal Muratori, vennero a far parte
dello stato farfense i templi di SS. Filippo e Giacomo, S. Maria in Montaspice
e S. Pietro. I Benedettini venivano così ad estendere la loro zona di influenza
sia nel campo materiale che spirituale, riportando all’antica fertilità e
ricchezza i terreni che dall’Ete morto si affacciano sul Chienti. Per circa
cinque secoli questi Monaci si conservarono uniti nella professione della
stessa Regola, fino a che verso il mille la loro compagine venne disgregandosi
per suddivisioni in gruppi; l’osservanza della Regola venne meno e si rese
necessaria l’opera dei Santi riformatori. E’ la volta delle congregazioni Benedettine,
che si ripartirono i vari possedimenti dell’ordine. Da noi sorse, per opera di
S. Silvestro da Osimo, la Congregazione dei Silvestrini; la Priorale dei SS.
Filippo e Giacomo passò dall’abate di S. Vittoria in Matenano ai religiosi
della Riforma di S. Silvestro (anch’essi benedettini).
Le fonti silvestrine ci danno per certo che S. Ugo fu
mandato a Montegranaro da S. Silvestro per fondare un monastero, che divenne
poi il centro del paese; fu attorno al suo monastero infatti che sorsero i
primi edifici di agglomerato urbano: qualche scuola, un lazzaretto (o ospedale)
e talune di quelle pie istituzioni che svolsero un’opera tanto benemerita nel
corso dei secoli, come ospizi per vecchi, monti di pietà ecc. ecc.
I Silvestrini lasciavano il Monastero, dove
trascorrevano la maggior parte del giorno e della notte nella preghiera e nella
meditazione sulle divine verità, solo per recarsi nelle campagne circostanti a
proseguire quella tenace ed intelligente opera di risanamento agricolo già
iniziata dai Farfensi; essi continuarono a disboscare, a prosciugare paludi, a
rivendicare alla fertilità terreni divenuti malsani per incuria ed abbandono.
Essi, in una parola, mettevano in pratica il progetto del grande fondatore
dell’ordine “ORA ET LABORA”.
I Silvestrini rimasero a Montegranaro fino al principio
del XVI secolo; ad essi seguirono i sacerdoti secolari alla dipendenza
dell’Arcivescovo e Principe di Fermo. Il titolo dei parroci fu quello di Priore
perché il Priore era la prima dignità del Capitolo dei Silvestrini.
L’archivio parrocchiale conta come primo Priore
secolare Annibal Caro (1539) poeta e letterato traduttore in versi dell’” ENEIDE”
di Virgilio. Bellissime le sue lettere, scritte ad amici, parenti e ad alti
personaggi del tempo, le quali, oltre al pregio della elegante semplicità,
hanno anche quello di essere un raro documento storico. Due di esse sono
conservate nel nostro archivio parrocchiale. Gli successe nel 1553 il nipote
Fabio.
L’attuale casa parrocchiale, sede dei Priori, fu
costruita da Annibal Caro e ne fa fede lo stemma sovrastante la porta di
ingresso; la costruzione è stata dichiarata monumento nazionale in omaggio
all’insigne Priore letterato. L’attuale chiesa parrocchiale invece fu
costruita, come risulta da un inventario ottocentesco conservato nell’archivio
storico arcivescovile di Fermo “… DALLA BUONA MEMORIA DELPRIORE CIRO LETI… nel
1760”. La costruzione a volta e con
ordine composito venne eretta sopra le mura della vecchia chiesa “… VERAMENTE
ANTICHISSIMA, POICHE’ DICESI CHE IL TEMPIO IVI SORTO FOSSE IN ONORE DELLA DEA
CERERE “.
Sta di fatto che la vecchia chiesa di S. Ugo venne
chiusa al culto nel l760; da questa data in poi l’edificio fu lasciato in preda
agli oltraggi del tempo e dell’abbandono. I danni provocati dall’umidità
avevano alterato i pregevoli affreschi fino al punto da renderne
irriconoscibili le immagini rappresentate. All’ardua opera di restauro si
accinse il Priore Sac. Dante Filomeni, trasferito nel 1959 dall’insigne
Collegiata Santuario di S. Vittoria in Matenano alla Priorale dei SS. Filippo e
Giacomo. I lavori vennero iniziati nel 1960 e portati a termine nel 1966. Non
fu cosa da poco: si dovettero demolire vecchie pavimentazioni, praticare vespai
in pietrame di calcestruzzo, tagliare e riprendere ampie sezioni di muratura,
costruire una nuova pavimentazione, una nuova scala di accesso alla Cripta un
nuovo altare. Particolarmente delicata fu tutta la tecnica della
sottofondazione per iniezioni di cemento e della ripresa degli intonaci e non
meno importante, dal punto di vista estetico, la costruzione della gradinata
esterna con recinzione in ferro battuto, degli infissi (anche questi in ferro
battuto) della zoccolatura in travertino per le scale interne. Tutti lavori
che, condotti con pazienza e passione, hanno avuto il merito di riportare la
Cripta di S. Ugo alla sua integrità e alla primitiva bellezza, restituendo al
paese un tesoro d’arte, che minacciava di rimanere sepolto per sempre, mentre,
tornato alla luce e al suo antico splendore, non mancherà di attirare su
Montegranaro la curiosità e l’attenzione di intenditori, amatori e turisti.
Non sarebbe giusto, a questo punto, passare sotto
silenzio l’opera del compianto Priore D. Leopoldo Giardini; tutti lo ricordano
per le sue vivaci prediche e per i fervidi appelli, che lanciava dai pulpiti di
varie città d’Italia. E’ da lui che abbiamo imparato l’alto senso del DECORO
della Chiesa che egli curò con encomiabile zelo e che volle BELLA ED ARTISTICA
COME SI CONVIENE ALLA VERA CASA DI DIO E DELLA PREGHIERA. Oltre alle notizie
storiche che rendono celebre la Cripta di Sant’ Ugo, vi sono notizie
artistiche, che la pongono tra i capolavori più importanti ed illustri della
nostra Italia. Trattasi di rarissimi affreschi pregiotteschi che, per i loro
caratteri intrinseci, fanno giustamente pensare ad una scuola benedettina quasi
perfetta, che si ispira all’arte orientale, specialmente egiziana o copta. Tali
influssi sono dovuti alle molteplici relazioni della nostra Penisola con l’Oriente,
specialmente durante le crociate. Possiamo dividerli in due cicli storicamente
ed artisticamente ben distinti.
Il primo di essi comincia con un affresco recante la
data 1299, ed una scrittura gotica, che dice: “HOC FRATER FECIT…” Vi campeggia
un S. Paolo dal volto virile e vigoroso, in atteggiamento deciso, con la spada
in mano, secondo l’iconografia tradizionale ed un’altra figura di orante.
Seguono: Dioscoro, padre di S. BARBARA, in atto di
riporre la spada nel fodero, dopo aver mozzato il capo alla vergine figlia; l’Imperatore
Massimiliano seduto ancora in trono con la corona in capo, che gli ha ordinato
di eseguire l’empia sentenza: due Santi, che certamente rappresentano “S.
BENEDETTO E S. SCOLASTICA”.
A destra, nella parte superiore, troviamo una Madonna
e nella inferiore le tre Marie, di squisita fattura, tratteggiate con grande
purezza e linearità, in pochi ma vividi colori.
Tutti questi pregevolissimi affreschi sono stati
trasportati, con magistrale tecnica, su supporti lignei e restaurati con
intelletto di amore da due esimi artisti veneti: “Prof. Antonio Trevisan e la
Prof. a Giuseppina Manin “, nel 1960.
Nella parte Nord figurano altri affreschi appartenenti
anch’essi al I ciclo e che vennero restaurati nel 1963 da due artisti della
scuola Fiorentina: “Prof. Mirando Giacomelli ed il Prof. Aldo Frosini”. Trattasi di un Santo, forse S. Giovanni
Evangelista, una Natività del Cristo ed altri personaggi: natività
disgraziatamente mutilata dall’apertura d’una finestra. Ci viene poi incontro
una grande ADORAZIONE DEI MAGI. Pure nei colori attuali, chiare e precise sono
le linee dei cammelli e dei tre Re, vestiti di ricchi abiti, nel volto dei
quali si legge, con l’attonito raccoglimento, una trepida speranza.
Ancora più notevole appare un affresco, che ci
rappresenta il “BATTESIMO DI GESÙ”. Attraverso l’acqua, disegnata con la
simmetrica accuratezza d’un velo prezioso secondo una tradizione già risalente
ai bizantini, traspare la stupenda figura del Cristo, nella quale, su ogni
valore cromatico, predomina il tratto nitido del disegno, l’armonia plastica
del corpo ignudo, rappresentato in atteggiamento raccolto, nel volto grave, di
mirabile forza espressiva, idealmente vicino a tante raffigurazioni e del
Cavallini e del Giotto.
GLI ALTRI AFFRESCHI APPARTENGONO AD UN CICLO
POSTERIORE.
Più in basso, sovrapposto in parte sulla cornice del
precedente, è un piccolo riquadro che ci presenta la Crocifissione tra la
Madonna e S. Giovanni, con gli atteggiamenti propri di tante pale di altare del
XIV e XV secolo.
Tra quelli della parete destra si ammira un grande
riquadro pentagonale della CROCEFISSIONE, ove il CRISTO MORENTE domina
maestoso, come figura centrale, sia quale fulcro geometrico della composizione
sia (ed ancora di più), quale punto di convergenza, dei messaggi profetici;
tutt’attorno, infatti, si affollano figure di angeli, di profeti, di re, e come
eco vi risuonano i versetti delle sacre scritture.
Accanto a questo è situato ”L’ESALTAZIONE DEL SS.
SACRAMENTO”. In alto, attorno
all’ostensorio di fattura gotica, si sviluppano motivi floreali e, più in
basso, sono rappresentate due figure di santi Domenicani, dei quali permangono
solo i volti, sereni e dolcissimi, dall’incarnato perfetto.
Inoltre si ammirano una magnifica tela del Barocci
(Federico Fiori di Urbino) rappresentante la “CIRCONCISIONE “; un affresco del
1517 con la Madonna ed il Bambino circondata da Angeli, che sembrano ispirati a
quelli di Melozzo da Forlì; un Sant’Andrea da Avellino del XVIII sec., colto da
malore ai piedi dell’altare, nell’atto stesso di iniziare Ia SS. Messa. QUESTE
TRE OPERE FURONO RESTAURATE NEL 1963, a cura del Priore Filomeni, dalla sopra
nominata scuola Fiorentina. IL DIPINTO DEL BAROCCI ha il pregio rarissimo di
mettere in luce in una mirabile sintesi la perfezione e la purezza della linea,
la vigoria e la robustezza dei lineamenti ed il calore dei colori
(avvicinandosi in questo al CORREGGIO), i quali, come vaporosità atmosferica,
sembrano avvolgere tutte le cose e riscaldare perfino le ombre.
L’appartenenza degli affreschi al periodo gotico
sarebbe sufficiente ad attirare I’interesse degli studiosi di storia d’arte.
Ancora più colpisce l’osservatore attento la bellezza armoniosa di talune
raffigurazioni, ove paiono ritrovarsi tutta la grazia, la forza comunicativa e
la purezza di linee, che siamo soliti gustare in tante opere fiorite nella
nostra Italia in quel prestigioso e lontano periodo che ha reso celebre la
Patria nostra agli occhi di tutto il mondo.
Il ”CRIPTOPORTICO” di S. UGO, come lo chiamò il BACCI,
quel monumento unico esistente in ITALIA per la sua Volta a botte, estremamente
semplice, si può dire che sia il . COMPENDIO DI TUTTA LA TEOLOGIA” perché in
esso si raffigurano, attraverso un’arte finissima, quasi tutti i dogmi di
nostra santa Religione.
La Priorale dei SS. Filippo e Giacomo annovera tra i
suoi figli migliori, avuti in gran numero lungo il corso dei secoli, due
fulgide gemme, che onorano il cielo di nostra madre CHIESA:
1) S. SERAFINO, che vi nacque nel 1540 da GEROLAMO e
da Teodora Giannuzzi. Gli fu imposto, nel Battesimo, il nome di Felice. La
casa, dove nacque il Santo, era sita in VIA SOLFERINO n.42. Vestì I’abito di S.
Francesco nel 1558 e nell’anno successivo fece la professione solenne. Morì ad
Ascoli Piceno, dopo una vita tutta trascorsa nell’ardore della carità verso
Iddio ed il prossimo. Per i molteplici miracoli, operati dopo la morte, Urbano
VIII ne introduceva la causa della Beatificazione, mentre lo dichiarava “BEATO”
il 19 Agosto 1719 CLEMENTE XI. Il 16 Luglio 1767 Clemente XIII lo proclamava
Santo.
2) IL CARDINALE DOMENICO SVAMPA. Nacque in questa
Prioria il 13 Giugno 1851. Dopo compiuti i suoi studi superiori prima presso il
nostro Seminario Arcivescovile di Fermo, poi presso il Seminario Pio in Roma,
avendo conseguito le lauree in filosofia, in teologia ed in Diritto utroque,
ordinato sacerdote, insegnò a Fermo teologia e diritto. Nel 1881 tenne la
cattedra di diritto aII’APOLLINARE DI ROMA. Nel 1887, fu nominato Vescovo di
Forlì. Nel Conclave del 18 Maggio 1894, Papa Leone XIII, lo elevava alla
dignità della sacra Porpora, creandolo Cardinale e destinandolo a BOLOGNA, come
Arcivescovo. Appena quarantenne, il 30 Settembre del medesimo anno, faceva il
suo solenne ingresso nella Metropoli Emiliana. Vi moriva, dopo tredici anni, il
10 Agosto 1907, all’età di 56 anni. Il suo ricordo a Bologna è vivo come ieri e
non può essere altrimenti; la memoria di un santo uomo sfida anche le leggi
inesorabili del tempo.
Sarebbe troppo lungo enumerare altri illustri
personaggi, che hanno, con le loro opere, onorato questa Prioria sia nel campo
dell’arte, sia in quello della fede e beneficenza. Si lascia ad altra persona
più competente questo compito, quando darà prossimamente alle stampe una
monografia, che illustrerà più compiutamente la storia di MONTEGRANARO.
Montegranaro trovasi a m. 273 sul livello del mare ed
è sito sulla rotabile che congiunge Fermo (distanza Km.15) a Macerata (distanza
Km. 2l). La stazione scalo di Montegranaro è CIVITANOVA MARCHE, che dista Km.
16. Il turista e lo studioso vi trovano quindi facile accesso.
L’autore, con animo grato e devoto, dedica
questo opuscoletto, frutto di grande amore per la sua terra natale, all’ANGELO
DELL’ARCHIDIOCESI DI FERMO MONS. NORBERTO PERINI, perché dica all’amato Pastore
non solo la sua personale stima e devozione, ma anche quella di tutti i
Montegranaresi, che sempre hanno ammirato il suo indefesso zelo apostolico, non
disgiunto a grande carità cristiana.
MONTEGRANARO. Festa dei Patroni SS. Filippo e Giacomo.
Anno del Signore 1966.
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