Nel 2001 un imprenditrice montegranarese decise di realizzare un
autolavaggio. Individuando l’area di interesse in un lotto di proprietà
comunale, tale imprenditrice chiese al Comune di Montegranaro di affittargliela.
Il Comune accettò la richiesta con atto formale, firmato dall’architetto Trapè
dell’Ufficio Tecnico. L’atto in questione era una promessa di affitto. L’imprenditrice,
preso possesso dell’area, fece dei lavori di sistemazione, come la
realizzazione di un muro di contenimento della scarpata e la platea dove
installare l’impianto a proprie spese, decurtandole dalla pigione pattuita
secondo lo stesso atto di cui sopra.
A distanza di quindici anni, nell’ottobre del 2015, il Comune di
Montegranaro decise, non si sa bene per quale motivo, di tornare a interessarsi
della questione effettuando delle verifiche. Da tali verifiche sarebbe emerso,
secondo il Comune, che il dottor Trapè non aveva alcuna autorizzazione formale
da parte dell’Ente a firmare l’atto di affitto (cosa estremamente grave e
piuttosto incredibile: chi conosce Trapè sa che non sarebbe mai così ingenuo) e
che la realizzazione dell'opera, in seguito, presentava delle difformità dal
progetto originale.
Da ciò la volontà del Comune di rientrare in possesso dell’area
occupata dal lavaggio e del suo ripristino alla situazione originaria. Per questo motivo la nostra imprenditrice ha
dovuto sospendere l’attività del proprio autolavaggio fino a oggi. Per poter
riprendere il lavoro, ad aprile, ha fatto richiesta di ulteriore verifica. Oggi
è stata pubblicata una delibera con cui la Giunta Comunale richiede un parere
legale a un professionista per dirimere la faccenda. Nel frattempo il lavaggio
rimane chiuso.
Cosa ci dice questa faccenda: non so perché siano andati a verificare
proprio questa attività e non altre; diciamo che sia stato un caso. Fatto sta che riscontro una grande disparità tra il comportamento
assunto in questa occasione e quello tenuto con il caso dell’antennona
Vodafone. Nel primo caso ravvisiamo grande solerzia nel mettere in ginocchio un’attività
produttiva, senza curarsi delle conseguenze quando, probabilmente, sarebbe
bastata una sanzione e una sanatoria. Si è invece preferito danneggiare
gravemente un imprenditore cittadino per poi, a distanza di mesi, andare a verificare
da un punto di vista legale se si sia agito bene. Nel caso della Vodafone,
invece, assistiamo all’inerzia più assoluta. Nessuna volontà, nessuna azione
per sanzionare le enormi difformità tra il progetto cartaceo e quello
realizzato. Come mai?
Luca Craia
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