Ho avuto una posizione, mi pare,
sempre piuttosto equilibrata, fin dall’inizio della faccenda dell’omicidio di
Fermo. Non mi sono mai unito ai cori, né di una tifoseria né dell’altra. Ho cercato
di ragionare sui fatti e su quello che vedevo, senza farmi condizionare da
ideologie e retroculture che, grazie a Dio, non posseggo. Ciononostante vengo
schierato mio malgrado, passivamente. Questo avviene perché oggi il
ragionamento non è previsto: o stai di qua o stai di là, o sei del Milan o sei
dell’Inter, o guelfo o ghibellino. Intendiamoci, se c’è da schierarsi, quando
sono perfettamente convinto, lo faccio, come nel caso delle responsabilità di
don Vinicio nella mattanza culturale del nostro territorio che deriva dalla
cronaca e dalla sua interpretazione. Ma sono abituato a ragionare con la mia
testa, azzeccandoci o sbagliando.
Gli schieramenti, perché di
questo si tratta, sono ai due lati del campo di battaglia. Trovarsi in mezzo
non si può, le prendi da tutti e due. Da una parte quelli “io sto con Amedeo”,
come se Amedeo non avesse ammazzato nessuno. Dall’altra quelli col cilicio,
quelli del “siamo tutti razzisti” ed è vero, loro sono razzisti, perché ritengono
di essere gli unti del Signore che detengono la verità assoluta e gli altri
solo dei somari. Ho provato a ragionare, con gli uni e con gli altri.
Quello che ho visto ieri mi ha
portato alla resa. Una donna, di origine marchigiana ma residente lontano dalle
Marche, in uno dei tanti deliri di buonismo e pacifismo in cui si vorrebbe
ammazzare tra atroci sofferenze chi non è buonista e pacifista allo stesso
grado e livello o, più semplicemente, segua un’altra linea di ragionamento,
descrive il territorio fermano così: “...il posto, popolato per metà da
scarpari arricchiti e per quell’altra metà da gente che vorrebbe essere al
posto degli scarpari arricchiti. Gente che si sente potente -e sottolineo
potente, nemmeno fortunata- perché ha un amico o un parente in uno
scacatisissmo consiglio comunale di quattro gatti:
questo è il modus pensandi."
E mi sono
chiesto: quanto livore? Quanto odio? Perché questo odio verso la nostra terra?
Come ce lo siamo meritato? La risposta non c’è, perché non ce lo siamo
meritato. La signora, evidentemente, ha avuto brutte esperienze in vita sua, ne
è rimasta turbata, e me ne dispiaccio. Ma se da ciò derivano frustrazioni tali
da scrivere pubblicamente tutto questo acido corrosivo, credo che dobbiamo
fermarci e riflettere. Perché non può essere, non stiamo più governando le
nostre menti.
E il fatto
che questo delirio sia stato ampiamente condiviso su Facebook, incredibilmente,
anche da persone nate e cresciute in questo posto così orribile, secondo la
descrizione della filosofa di pace, persone che vivono e lavorano qui, che
mangiano anche grazie agli scarpari, che magari sono proprio figli e nipoti di
scarpari, simboleggia la morte della ragione. Anche perché questo è il lato di
quelli buoni, quelli che difendono i più deboli, quelli che sventolano la
bandiera della pace. Meno male, pensa se fossero guerrafondai.
Da qui ho
capito: non si può combattere contro qualcosa che non c’è. Non posso usare la
ragione e il ragionamento con chi non ha ragione e non vuole ragionare. Mi
danno del razzista perché non sono allineato con questa gente. Potrei dire “che
me ne frega, fate pure”, e invece no: io non sono razzista, ma sono razionale e
voglio capire prima di emettere un giudizio.
Allora mi
arrendo: abbandono la discussione. Non scriverò più una riga sull’argomento
dell’omicidio di Fermo. Spero facciano lo stesso in tanti, perché alimentare questa
discussione, che poi discussione non è, è solo odio che cola giù dai muri, è un
meccanismo previsto da qualcuno che lo sta utilizzando ai propri fini. E guardate
che anche don Vinicio è vittima di questo meccanismo e se ne deve essere
accorto. Tardi.
Se l’amico
Ciuccarelli porterà avanti la sua iniziativa di class action contro i
responsabili di questo incommensurabile danno sociale contro Fermo e il fermano
sarò con lui, ma non scriverò più. Il blog è aperto e sono disposto a
pubblicare scritti altrui ma di miei non ne leggerete. Con buona pace dei
pacifisti.
Luca Craia
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