Facevo collezione di francobolli. Mia mamma era ragioniera in un
calzaturificio e mi metteva da parte le buste della corrispondenza che
riceveva. Così iniziai a mettere da parte i francobolli del periodo. Evidentemente
era un passatempo di moda all’epoca per cui era facile trovare altri ragazzi
collezionisti disposti allo scambio dei doppioni. Così la collezione cresceva.
Tramite conoscenze ero entrato in contatto epistolare con un signore italiano,
Renato, che aveva fatto la campagna di Russia e si era sposato in Bulgaria non
tornando più in Italia. Renato mi mandava di sua sponte e con piacere
francobolli dell’Unione Sovietica, per la qual cosa rischiava anche parecchio
essendo vietato oltre cortina quel tipo di attività. Grazie a lui ora mi
ritrovo un bell’album pieno di splendidi francobolli dell’URSS che hanno anche
un discreto valore.
A Montegranaro se parlavi di filatelia non potevi prescindere da Teo
l’americano, il marito di Emilia Senzacqua. Francamente non ricordo come finii
a casa di Teo, fatto sta che ci finii. E quella fu una delle esperienze
fondamentali della mia vita. Matteo, Teo per gli amici, era un omone col pizzo
canuto, polacco trapiantato negli USA, che s’era trovato appunto in America giusto
giusto per fare la Seconda Guerra Mondiale. Era imbarcato nel Pacifico come
cuoco quando il suo incrociatore era stato centrato e affondato da un siluro
giapponese. Il suo racconto proponeva il siluro che attraversava tutta la
cucina della nave portando con se la sua tibia e il suo perone, lasciandolo con
un brandello di carne al posto della parte inferiore della gamba destra. La
chirurgia americana dell’epoca era evidentemente molto più avanti di quella
italiana anche contemporanea in quanto gli ricostruirono la gamba intorno ad un
tubo di metallo. Certo non correva i cento metri ma claudicante camminava per
casa.
Era un uomo burbero come pochi, gigantesco, con quell’accento misto
tra anglosassone e slavo e la voce cavernosa. Diciamo che la prima impressione
fu terrificante. Poi lo conobbi e lo amai, molto, come si può amare un nonno.
Teo cucinava da dio, cose strane che io non avevo mai neanche sentito nominare.
A quell’epoca, parlo della fine degli anni ’70, sfido chiunque ad aver saputo
cos’era il ketchup. A casa sua mangiai bacon and eggs e mamma rabbrividì solo a
sentire che cos’era, bistecche alla Bismarck, innumerevoli insalate con salse
che andavano dalla maionese al tabasco. Diciamo che, se oggi amo tanto stare ai
fornelli, lo devo probabilmente a lui.
Collezionava francobolli e monete. Aveva una stanza, di fronte alla
cucina, tappezzata di scaffali dove teneva le bustine dei francobolli. Infatti
non usava gli album ma li teneva sciolti in piccole buste di carta oleata. E me
ne ha regalati parecchi, che aveva doppi, ma per me erano davvero un tesoro:
francobolli del Regno d’Italia, della Germania pre-nazista con sovrastampato il
valore centuplicato durante la depressione, dei vari paesi europei prima della
guerra, degli USA e dell’America latina. Un tesoretto, se non da un punto di
vista economico, sicuramente da quello storico. Per non parlare di quello
affettivo.
Con Teo iniziai ad interessarmi di calcio. Fino allora non me ne
fregava niente e quando i miei amici o i compagni di scuola si accapigliavano
per il pallone la cosa mi lasciava del tutto indifferente. Ma era il 1978 e
c’erano i mondiali in Argentina. Premesso che, quando andavo da lui ci rimanevo
tutta la mattinata o tutto il pomeriggio, durante i mondiali, se giocava la
Polonia (e quell’anno giocava, hai voglia se giocava) tutti zitti davanti alla
TV. All’inizio mi annoiavo e non capivo il gioco, così lui pazientemente mi
spiegava le azioni e le regole, tanto che mi appassionai. Ci siamo visti
insieme tutti le partite dei mondiali della Polonia e dell’Italia, lui seduto
sulla sua poltrona di fronte alla finestra che dava sulla piazzetta dell’erbe
ed io appoggiato sul tavolo dal piano di vetro che racchiudeva banconote di
tutto il mondo.
Teo morì negli anni ottanta. La sua casa negli anni 2000. Ora c’è una
piazzetta al suo posto. Carina. Ma manca un pezzo della storia di Montegranaro
e anche un pezzo della mia storia personale. Lì nessuno appenderà a dicembre la
grande slitta di Babbo Natale con tanto di renne tutta luminosa e tanto americana.
Luca
Craia
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