Comprarsi
una macchina sportiva era sempre stato il suo sogno, non tanto per la velocità,
le prestazioni, il brivido della potenza del motore e della tenuta di strada,
quanto per quello che rappresentava: ricchezza, potere, donne. Soffriva la sua
condizione di ragazzo di piccola borghesia proveniente dalla campagna, figlio
di operai onesti e laboriosi, sì, che non gli avevano fatto mancare mai nulla
ma che certamente erano bel lontani dall’essere ritenuti ricchi. E lui, che
viveva in un paese di gente danarosa, con tanti industriali che ostentavano
opulenza, si sentiva depresso dalla sua condizione che magari, per altri,
poteva anche essere invidiabile ma per lui era completamente insoddisfacente e
per questo origine delle sue frustrazioni.
Guardava i
suoi coetanei, figli di industriali, girare con macchinoni potenti carichi di
ragazze e li ammirava ma, nello stesso tempo, moriva di invidia. Un’invidia,
tutto sommato, sana, non cattiva: lui voleva essere come loro, voleva essere
uno di loro, e possedere una macchina sportiva era il simbolo di appartenenza a
quel ceto così distante da lui. Li frequentava, i ricchi, ed era ben accetto
anche perché era un tipo spigliato, piuttosto simpatico, sfacciato e
divertente. Ma non era uno di loro e lui, questo, lo sentiva. Una macchina
sportiva lo avrebbe fatto sentire ricco, anche una vecchia, come la Porsche di
Vittorio, uno degli amici del circolo che era stato ricco ma non lo era più.
Era una Porsche 924, la Porsche più piccole ed economica, ed era piuttosto mal
messa. Ma a lui sarebbe bastata anche quella.
Giocava a
carte. A soldi. Lo faceva da tempo e di solito gli andava bene e, comunque, non
aveva mai perso più di tanto. Quella sera partì con la Renault 5 del suo amico
Peppe e andò al circolo, in centro, dove si giocava e anche forte. Si sentiva
particolarmente fortunato, una sensazione non nuova ma quella sera era più
forte del solito. Così, una volta al circolo, cominciò a giocare forte. Al
tavolo c’era, insieme a lui e Peppe, anche Vittorio e un altro. All’inizio gli andò bene ma in un paio di mani
storte si trovò ad aver perso tutto quello che aveva vinto fino a quel punto e
parte del capitale iniziale. Non si perse d’animo e prese le carte. Aveva un
tris di donne in mano. Un bel punteggio. Ci puntò tutto quello che era rimasto.
Ma l’altro giocatore rilanciò e lui non aveva più contante. Ma quel tris era
bello e sentiva la fortuna dalla sua. Peppe capì e gli fece credito, lasciando
il gioco. Rilanciò. Prese due carte. Una delle due era la quarta donna. Anche
Vittorio rilanciò, lasciando tutti di stucco: mise sul tavolo le chiavi della
sua vecchia Porsche 924. Calarono le carte. Il quarto uomo aveva una scala all’asso.
Vittorio aveva un full. Aveva vinto. Un milione e mezzo e la Porsche di
Vittorio.
Offrì a
Peppe di fare a metà ma Peppe non volle i soldi. Però disse che la Porsche la
voleva guidare pure lui, qualche volta. Il patto fu siglato.
Con un
milione e mezzo non c’era da fare tanto i gradassi: fece dare una riparata alla
meglio alla macchina, soprattutto alla carrozzeria, tralasciando la meccanica e
i soldi erano già finiti. Pazienza, aveva la Porsche, la macchina sportiva che
aveva sempre desiderato.
La fece
vedere a tutti. Girò tutto il paese, fece tappa in ogni bar, in ogni angolo
dove ci fossero ragazzi da far crepare di invidia. La macchina non andava
benissimo, ma lo sapeva solo lui (e Peppe). Batteva un po’ in testa agli alti
regimi e la batteria era un po’ giù, molto giù. Ma era una Porsche e… sai quante
ragazze adesso?
In realtà in
paese se lo filarono in pochi. Tutti sapevano che la macchina l’aveva vinta
alle carte, conoscevano quel macinino e non gli davano grande importanza. Così
decise di andare fuori, in discoteca, a rimorchiare, convinto che, con una
macchina sportiva le ragazze avrebbero fatto la fila per stare con lui. Si
portò anche Peppe. Prima di andare a ballare, però, si fermarono in una
pizzeria a mangiare qualcosa. Peppe disse: “non la spegniamo (la macchina), che
se la batteria ci fa qualche scherzo rimaniamo a piedi. Poi sai le prese per il
culo. Tanto ci mettiamo dieci minuti”. Così lasciarono la macchina accesa
davanti al locale. Si sedettero vicino alla vetrina così la potevano
controllare. A quei tempi, da quelle parti, la macchina non te la fregavano di
sicura ma non si sa mai. Ordinarono un piatto di antipasto all’italiana e mangiarono
veloci guardando la macchina quando si accorsero che usciva del fumo nero dal
motore. “Cazzo! Fuma! Sta fondendo il motore!”.
Uscirono di
corsa ma la macchina s’era già spenta da sola, avvolta in una nuvola di vapore.
Scoprirono in seguito che s’era rotto il termostato e non era partita la
ventola del raffreddamento. Riparare quel motore non valeva la pena. Comprarne
uno nuovo era molto caro e la macchina non valeva la spesa. Buttò via la sua
Porsche una settimana dopo averla vinta. E con quella, buttò via il suo sogno
di ricchezza.
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