A me fa
paura. Oltre che rabbia, naturalmente, e un senso di impotenza, frustrazione.
Stanno saltando i miei principi, quelli che credono (forse credevano) nella
bontà di fondo dell’essere umano, della sacralità della vita. Sta saltando o,
quantomeno, sto mettendo in discussione la convinzione che un essere umano non
ha diritto a mettere fine alla vita di un altro essere umano. Scrivo con l’animo
tremante, perché di questo sono sempre stato convinto, ma quando apprendo di un
branco di giovani che è capace di massacrare di botte fino a ucciderlo un altro
giovane, non so più se sono convinto che l’essere umano sia fondamentalmente
buono, che abbia sempre diritto all’occasione di redimersi. Non vedo
possibilità di redenzione per un uomo che divelle il palo di un segnale
stradale e lo usa per fracassare il cranio di un uomo. Come può un uomo capace
di tanto redimersi?
Il livello
della violenza sociale è cresciuto a dismisura, non c’è più limite, si va
avanti a oltranza verso l’orrore. Non esiste alcuna giustificazione, nessuna
motivazione valida che possa spiegare quanto accaduto. Né si può parlare di
ragione ottenebrata da sostanze, perché chi le assume sa che effetto fanno.
Eppure il giudice indaga per omicidio preterintenzionale, come se un uomo che
colpisca la testa di un altro uomo con una sbarra di ferro non sappia che lo
sta uccidendo. E questa è un’altra faccia dello stesso problema: la società non
è in grado di condannare, di punire, di dare l’esempio educativo per chiarire
che certi comportamenti non sono umani, non possono essere considerati umani,
che l’uomo, quindi li aborre e che chi li usa è condannato senza attenuanti. Invece
si cerca la giustificazione, l’attenuante, in una smania di umanizzazione si
estremizza il concetto di recupero sociale laddove questo recupero non ha più
senso, non è più accettabile, perché la società deve potersi difendere e chi è
chiamato a farlo non lo fa.
C’è una
violenza inaudita nella società di questi anni ’10. Una violenza che pare metta
radice in una convinzione di impunità parzialmente suffragata dai fatti, che
prende spunto dalla virtualizzazione della vita reale e fa pensare che ogni
errore, anche il più grave, possa essere cancellato con un click, possa essere
corretto con un menu a tendina, con un comando informatico. La stessa violenza,
che nel mondo virtuale dei social network, dove oggi tutti, chi più chi meno,
passiamo parte della nostra esistenza, si limita a essere verbale, trasmigra
nel mondo reale senza più filtri, senza inibizioni. E, se nel mondo virtuale
essa può far male ma nuocere fisicamente solo in casi estremi, in quello reale nuoce
sempre, a volte uccide.
Punire i
responsabili di questo gesto mostruoso è un preciso dovere della nostra
società. La punizione deve essere esemplare, deve avere funzione educativa non
per i colpevoli ma per chi volesse emularli. Questo è quello che ci si
aspetterebbe. Bisogna riaccendere i freni inibitori, bisogna cancellare il
messaggio che tutto è consentito, tutto è rimediabile. Non è consentito
uccidere. Non è consentito sballarsi fino a perdere il senso del giusto, non è
consentito smarrire la propria capacità di autocontrollo. Questa violenza deve
finire e per questo servono regole chiare, dure, inflessibili.
Luca
Craia
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