La storia la
apprendiamo dai notiziari, ed è una storia di positività, di speranza, di
rinascita. Ci parla di una persona che ha perso tutto a causa del terremoto ma
non si è arresa. È arrivata a Porto Sant’Elpidio da Visso, insieme a centinaia
di sfollati del paese che lei stessa amministra come assessore al turismo, e
qui ha messo radici, ha aperto un’attività che prosegue il lavoro che svolgeva
prima a Visso, un negozio di prodotto biologici. Patrizia Serfaustini vuole
ricominciare, nonostante le lunghezze burocratiche e una politica che sembra
essersi dimenticata dei terremotati. E lo fa spostando la sua economia
personale altrove, lontano da Visso. L’intenzione è quella di mantenere, appena
possibile, anche l’attività originale di Visso, ma quando la potrà riaprire?
Nel frattempo si ambienterà e probabilmente farà della costa la sua casa.
È una storia
positiva, senz’altro, almeno per Patrizia, la quale ha fatto una scelta umana
perfettamente condivisibile e comprensibile. Ma forse questa scelta è quello
che vogliono si faccia, quello che si sperava accadesse. La gente, spostata
lontanissima dalle proprie radici, ha la necessità di attecchire, di piantarne
di nuove. E lo fa altrove, come ha fatto Patrizia. È normale che questo accada,
perché la gente ha bisogno di stabilità, ha bisogno di avere una casa, intesa
come punto di riferimento, come base per la propria vita.
Il terremoto
ha tolto la casa, il lavoro, la comunità a tantissima gente. La politica, la burocrazia,
l’inadeguatezza di chi ha gestito l’emergenza o forse un disegno preciso hanno
tenuto lontana questa gente dalla propria terra per molto, troppo tempo. La
conseguenza naturale è quello che ha fatto Patrizia: piantare radici altrove.
Come Patrizia
temo siano in tanti a organizzarsi, a ricrearsi una vita lontano dal proprio
paese distrutto dal terremoto. E questo, forse, appartiene a un disegno
preciso, a un progetto in cui il terremoto ha solo fornito l’avvio, il giusto
pretesto. Se la gente attecchisce sul litorale difficilmente tornerà a vivere
nella zona montana, dove la vita è più dura, più difficile. Ecco il progetto di
spopolamento programmato, ecco come si svuotano i piccoli centri della fascia
montana, ecco come si libera territorio e lo si consegna, privo di controllo, a
chi potrà farne l’uso che desidera.
In questo
Patrizia non ha colpe, né ce l’hanno quelli che, come lei, e temo siano tanti,
faranno scelte analoghe. Ma se questo disegno esiste, chi l’ha progettato si
sta assumendo enormi responsabilità, in nome di chissà quale profitto. La
desertificazione della zona montana avrebbe conseguenze disastrose per tutto il
territorio circostante, per tutto il Paese. Ed è già cominciata, in mezzo a una
paralisi di interventi che perdura da troppo tempo. Colpevolmente.
Luca
Craia
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