Penso con tristezza e mi immedesimo
nella sofferenza di chi, dopo il Natale, passa anche le feste di Pasqua lontano
da casa, di chi una casa forse non ce l’ha più, di chi forse non ha più nemmeno
un paese, un luogo dove conservare i ricordi, le radici. Penso a chi è stato
sballottato come una cassa da un posto all’altro, a chi è stato estirpato dalla
propria terra e posto in una provvisorietà prolungata e reiterata in un altrove
che non può e non deve diventare mai casa. E penso a quelle terre martoriate, a
quei paesi sventrare, feriti, offesi dall’impeto della natura e dai torti degli
uomini.
Voglio formulare un augurio, col
cuore in mano, l’augurio di chi non ha vissuto le sofferenze di chi ha subito
tutto questo ma le ha sentite proprie per quell’empatia che c’è quando si ama
un luogo, quando lo si sente in parte proprio, quando si sente l’amore per una
terra condivisa. E il mio auguro è semplice, perché la Pasqua è resurrezione e
non voglio augurare nient’altro: resurrezione degli spiriti, delle volontà,
resurrezione del sentimento di comunità e di appartenenza. Auguro la
resurrezione di queste terre ferite, sanguinanti ma non morte e che mai e poi
mai dovranno morire.
Le case si ricostruiscono, i
monumenti si restaurano, il senso di comunità può e deve ricrescere da quel
poco o tanto che è rimasto, dai rapporti umani che restano nonostante la
distanza e le difficoltà. Risorgano le comunità della Valnerina, della Salaria,
del Teramano, della Val di Chienti, della Val di Tenna, dei Sibillini tutti. Risorga lo spirito di unità che è la forza
di queste terre, risorga e si rafforzi la voglia di fare e di guardare al
futuro insieme.
Luca
Craia
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