venerdì 21 aprile 2017

Islam in occidente. Non siamo al sicuro.



L’attentato di Parigi ci dimostra in maniera lampante che non siamo al sicuro. L’occidente, culturalmente aperto e predisposto all’accoglienza e alla condivisione, nonostante certe posizioni ideologicizzate affermino il contrario più per tenere la posizione che per un ragionamento oggettivo, è a rischio proprio per questa sua apertura mentale, politica e fisica. I nostri confini sono aperti e non possono essere altrimenti, perché chiudendoli ammetteremmo che la nostra cultura è sbagliata e dovremmo ridiscuterla, cosa dalla quale nessuno trarrebbe vantaggio, né i radicali né i conservatori, ognuno nella difesa delle proprie radici ideologiche e convenienze politiche.
Il pericolo, però, giunge anche e, forse, soprattutto dal passato, dalla storia occidentale fatta di conquiste e colonie, di errori enormi, di massacri, genocidi in nome del profitto e dell’egemonia geopolitica. Questo passato, e i rimedi tentati per sanare alcune delle sue conseguenze, hanno portato la nostra cultura a un’apertura esasperata in cui, in una sorta di risarcimento postumo e imperituro verso chi, in passato, è stato oppresso dalle politiche occidentali, oggi è diventato parte dell’organismo sociale occidentale. Questa parte organica, però, mostra evidenti e pericolosissimi casi di rigetto, un rigetto che rischia di portare lo stesso organismo sociale alla morte.
L’attentatore degli Champs Elysees, come afferma la stampa, è un Francese. È un Francese che si chiama Karim. Non si chiama Francois, Jean, Michel, si chiama Karim. Si chiamerebbe diversamente se questo cittadino francese fosse integrato, dopo generazioni di cittadinanza. Ma Karim non è integrato, è una cellula impazzita, un cancro della società francese, della società occidentale. Fa parte dell’organismo sociale ma lo vuole uccidere, come fa il cancro. Se ne è alimentato fino a un punto della sua esistenza, l’organismo non ha mai capito la sua pericolosità e, ora, Karim, il cancro, uccide. E non ci sono anticorpi.
Quante cellule pronte a mutarsi in cancro ci sono nella nostra società? Non lo sappiamo, non possiamo saperlo. E non abbiamo né la cura né la profilassi. Potremmo attuare politiche di chiusura, potremmo analizzare il nostro tessuto sociale cellula per cellula ed espellere ogni particella potenzialmente pericolosa prima che questa lo diventi. Ma questa sarebbe una mutazione genetica, porterebbe a un cambiamento radicale del nostro essere. Un mutamento culturale, di costumi, che ci condurrebbe a un’esistenza molto diversa da quella che conosciamo, che è nostra. Porterebbe a una limitazione alle nostre libertà che sono quelle che ci fanno essere orgogliosi di essere occidentali, che ci fanno superiori a quelle culture che vogliono annientare la nostra.
Non ce l’ho una soluzione, lo dico sinceramente e con un profondo scoramento. Certo, continuando con le politiche di accoglienza illimitata e senza autoprotezioni, non andiamo certo verso un futuro più sicuro, non combattiamo certo contro la diffusione di questo cancro. Occorre ragionare serenamente, per quanto possibile, e togliere dal campo i preconcetti ideologici, quelli che fanno negare l’esistenza del problema. E occorre riconoscere che il problema è culturale, è investe la conflittualità innata tra cultura islamica e cultura occidentale. È complesso, ragionare in questi termini, perché è vero e innegabile che la pericolosità dell’Islam non è generalizzabile a tutti i praticanti e che solo una minima parte può davvero rappresentare un pericolo per la nostra cultura. Ma quella minima parte può essere letale e abbiamo il dovere, non il diritto, di difenderci.
Bisogna, quindi, innanzitutto fermare la contaminazione culturale perché è evidente che non siamo pronti, che ci vuole tempo. Bisogna evitare che queste cellule potenzialmente pericolose possano moltiplicarsi, e per farlo dobbiamo cominciare a smettere di assimilarne di nuove. Nel contempo occorre lavorare sull’integrazione, ma bisogna farlo seriamente, con politiche davvero inclusive, evitando le ghettizzazioni, le emarginazioni e le alienazioni sociali. Questa è solo parte della soluzione, ovviamente, che non può essere certo trovata in un ragionamento di poche righe. Ma è evidente che serva una presa di coscienza forte e un’altrettanto forte volontà di invertire il processo degenerativo che sta investendo la nostra società. E per farlo è propedeutico abbandonare le radicalizzazioni delle ideologie.

Luca Craia

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