Non so se ricordate com’erano i giardini al Campo dei Tigli una
trentina e passa di anni fa. Dietro la chiesa di San Serafino c’era la strada
che scendeva fino a via Umbria, costeggiando il campetto di basket e l’asilo. A
metà della strada c’era un’altra stradina, sulla sinistra, che girava a gomito
e scendeva, sempre verso via Umbria, ma dal lato opposto, per arrivare fino a
via Lazio. Questa stradina tagliava a metà il giardino, creando due spazi
simmetrici. Quello verso monte era normalmente frequentato da mamme con
bambini, in quello verso valle, esattamente di fronte al campo di
pallacanestro, più ombrose e appartato, da giovani, coppiette pomicianti e fumatori
di spinelli. In questo scenario si muoveva, d’estate, la gioventù
montegranarese, quanto meno nelle ore più calde, in attesa che scendesse il
sole e si potesse andare dietro le mura, luogo ambito nelle fresche ore serali
ma proibitivo di pomeriggio per l’impietoso irraggiamento del sole che lo
rendeva rovente e invivibile.
A quei tempi io, Uliano e Mauro eravamo apostoli dell’hard rock,
fedelissimi al culto del metal e acerrimi nemici dei discotecari e,
soprattutto, dei punk. Il nostro vestiario e le chiome fluenti ci
identificavano senza dubbio, tra pantaloni attillatissimi, cinture borchiate e
magliette di Iron Maiden o Judas Priest. Capitò che un giorno – eravamo tutti e
tre con l’aggiunta dell’amico Giovanni che, però, metallaro non è mai stato –
passando tra il Campo dei Tigli e il giardinetto dei giovani, ci giunse da
sopra una voce che diceva più o meno così: “brutti punk di merda”. Per un
metallaro sentirsi dare del punk è offesa da lavare col sangue. Ci fermammo e,
quasi in coro, gridammo: fatti vedere, vigliacco. E questo, senza farsi vedere,
continuò: “brutti punk rock zozzi”. Fu Giovanni, il più pacato e ragionevole di
noi quattro, a riportarci alla calma. Ce ne andammo senza cedere alla
provocazione, ma lanciammo una sfida: “se hai coraggio, ci trovi da Tarcì”.
Tarcisio aveva una sala giochi in via Umbria, dove adesso c’è la
sua gelateria. Andavamo spesso lì a giocare, ci piaceva particolarmente il flipper.
Fatto sta che, mentre stavo giocandomi una pallina stratosferica abbattendo
ogni record del malefico pinball, qualcuno mi toccò la spalla, facendomi
perdere concentrazione e pallina, dicendo: ce l’ho io coraggio, eccomi. Mi
voltai e trovai un tipo mezzo rasta, alto una ventina di centimetri meno di me
ma piuttosto ben piazzato, uno che ostentava sicurezze e che, seppi in seguito,
nonostante la statura non proprio da giocatore di basket, era un discreto
picchiatore. Il tipo mi fa: “andiamo di fuori e sistemiamo la cosa”. E io
risposi: “di fuori c’è tutta la tua combriccola o siamo solo io e te?”. E Lui: “c’è
tutta la banda”. “Bel coraggio che hai. Se hai voglia di vedertela con me
dobbiamo solo essere io e te. Oppure mi devi far radunare la mia, di banda”. E
chi ce l’aveva una banda? Capirai, l’unica banda che avevamo era la nostra band
per suonare, ma non era quello che occorreva in quel caso. Allora questo cavallerescamente
mi fa: “raduna la tua banda e ci vediamo al Campo dei Tigli tra una settimana.
E chi si fa male va all’ospedale”. Si girò e se ne andò.
“Ma che si combinato?” Uliano era preoccupato. Mauro era
ammutolito. Giovanni, il saggio: “ma che banda c’emo noatri?”. “Eh, bisogna che
ce ne procuremo una”. Era in ballo il nostro onore e dovevamo difenderlo. Così
ci venne in mente di chiamare in nostro aiuto l’amico Paolo di Civitanova.
Paolo era anche lui un piccoletto, ma era un fascio di muscoli ed era un
leggendario picchiatore. Lui ce l’aveva, una specie di banda, un gruppo di
metallari civitanovesi che incutevano terrore solo a vederli. Andammo a casa di
Uliano e gli telefonammo (non c’erano i telefonini, figuriamoci le chat) e
Paolo si disse entusiasta di questa potenziale scazzottata imprevista. Avrebbe
organizzato un bel gruppo di Civitanovesi nerboruti e avremmo dato una sonora
lezioni a questi profanatori del metal.
Passavano i giorni e noi quattro eravamo sempre più preoccupati,
anche perché questa cosa non era nelle nostre corde e avevamo l’impressione che
ci stesse sfuggendo di mano. Provvidenzialmente arrivò un ambasciatore. Andrea
era un ragazzo che conoscevo da quando eravamo bambini, ma frequentava la
cricca dei nostri avversari. Era un buon amico e la cosa lo faceva star male.
Così decise di mettersi in mezzo e fare da paciere. Mi propose un incontro
chiarificatore per evitare la prevista battaglia. Accettai.
All’incontro, che si tenne di notte al Campo dei Tigli, che
allora, in notturna, era buio pesto, C’eravamo solo io, il tipo nerboruto e
Andrea che faceva da garante. Ci parlammo, lui disse che a offenderci era stato
uno di loro che era un mezzo deficiente, io dissi che, stando così le cose,
potevamo metterci una pietra sopra. Ci stringemmo la mano e fu fatta la pace.
Fu così che venne evitata la prima guerra tra bande di Montegranaro. Prima di
andarsene, il tipo nerboruto, per suggellare la pace appena stipulata, mi offrì
di fumarci insieme una canna. A momenti lo picchiai davvero.
Luca
Craia
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