Le cronache di questi giorni riportano continue notizie relative a
giovani donne, ragazze e bambine, vittime di violenza domestica all’interno di
famiglie musulmane a causa del loro rifiuto verso l’imposizione di pratiche peculiarmente
culturali e tradizionali. Come sempre la stampa parla di fenomeni a ondate e dà
l’impressione che tutto accada in un certo periodo per poi cessare. In realtà
questo fenomeno è diffuso e accade in maniera continuativa. Ovviamente non si
può generalizzare, ed esistono numerosissimi esempi contrari, in cui ragazze di
cultura islamica che vivono in maniera totalmente occidentale senza avere alcun
problema con le proprie famiglie di origine. Rimane, però, il dato di numerosi
casi in cui le famiglie esercitano coercizioni anche fisiche e questo è,
comunque, un problema culturale che va tenuto sotto controllo, per la tutela
delle stesse ragazze, della loro dignità e della loro sicurezza.
Quello che stride fortemente è il silenzio del mondo della
sinistra, soprattutto delle donne di sinistra, quelle stesse pronte a salire
sulle barricate e dare del razzista a chiunque osi soltanto porsi il problema
di come integrare la cultura musulmana con quella occidentale, cosa che, con
ogni evidenza, non è semplicissima. Non si ode un suono, non si legge una
parola, non si vede un gesto che vada nella direzione di tutelare queste donne
dalle violenze che debbono subire a causa della loro libertà di scelta, dell’esercizio
di un diritto che, per noi occidentali, è scontato. Vorrei tanto vedere gesti
di solidarietà, atti di sostegno, parole di sdegno per quanto accade. Ma non li
vedo.
La questione, credo, è che si dovrebbe riconoscere che esistono
delle difficoltà oggettive nell’integrazione della cultura islamica con quella
occidentale. Ponendosi il problema di tutelare queste vittime di violenza,
queste donne la cui dignità e la cui stessa vita vengono minacciate da una
cultura antifemminile, occorrerebbe ammettere che l’integrazione è complessa e
che, a volte, il razzismo, inteso come ostracismo culturale, esiste anche dall’altra
parte. Occorrerebbe onestà intellettuale ed elasticità mentale per analizzare
il problema dell’integrazione con lucidità e distacco. Ma non è così, e troppo
spesso ci si pone di fronte al problema con presupposti ideologici anziché con
la reale volontà di risolverlo. Perché, per risolverlo, bisogna ammettere che,
tra il bianco e il nero, ci sono infinite sfumature, che non tutto il bene e
non tutto il male risiedono da un solo lato, e che, per integrare una cultura
esterna in un Paese che accoglie, occorre che la cultura oriunda ceda a quella
autoctona, altrimenti non c'è possibilità di integrazione. Il nostro Paese sta
dimostrando grande rispetto nei confronti delle culture di chi arriva, ma non
può esserci la sostituzione della nostra cultura, semmai una naturale, graduale
e positiva contaminazione che non può avvenire su basi ideologiche ma soltanto
per processi di trasformazione che richiedono tempo. E, soprattutto, è
imprescindibile il rispetto per la cultura autoctona, in mancanza del quale
ogni tentativo di integrazione rischia di cozzare contro il muro dell’autodifesa
e dell’autoconservazione culturale.
Luca
Craia
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