sabato 8 aprile 2017

Troppe ragazze maltrattate dalle famiglie islamiche. Dove sono le donne radical?



Le cronache di questi giorni riportano continue notizie relative a giovani donne, ragazze e bambine, vittime di violenza domestica all’interno di famiglie musulmane a causa del loro rifiuto verso l’imposizione di pratiche peculiarmente culturali e tradizionali. Come sempre la stampa parla di fenomeni a ondate e dà l’impressione che tutto accada in un certo periodo per poi cessare. In realtà questo fenomeno è diffuso e accade in maniera continuativa. Ovviamente non si può generalizzare, ed esistono numerosissimi esempi contrari, in cui ragazze di cultura islamica che vivono in maniera totalmente occidentale senza avere alcun problema con le proprie famiglie di origine. Rimane, però, il dato di numerosi casi in cui le famiglie esercitano coercizioni anche fisiche e questo è, comunque, un problema culturale che va tenuto sotto controllo, per la tutela delle stesse ragazze, della loro dignità e della loro sicurezza.
Quello che stride fortemente è il silenzio del mondo della sinistra, soprattutto delle donne di sinistra, quelle stesse pronte a salire sulle barricate e dare del razzista a chiunque osi soltanto porsi il problema di come integrare la cultura musulmana con quella occidentale, cosa che, con ogni evidenza, non è semplicissima. Non si ode un suono, non si legge una parola, non si vede un gesto che vada nella direzione di tutelare queste donne dalle violenze che debbono subire a causa della loro libertà di scelta, dell’esercizio di un diritto che, per noi occidentali, è scontato. Vorrei tanto vedere gesti di solidarietà, atti di sostegno, parole di sdegno per quanto accade. Ma non li vedo.
La questione, credo, è che si dovrebbe riconoscere che esistono delle difficoltà oggettive nell’integrazione della cultura islamica con quella occidentale. Ponendosi il problema di tutelare queste vittime di violenza, queste donne la cui dignità e la cui stessa vita vengono minacciate da una cultura antifemminile, occorrerebbe ammettere che l’integrazione è complessa e che, a volte, il razzismo, inteso come ostracismo culturale, esiste anche dall’altra parte. Occorrerebbe onestà intellettuale ed elasticità mentale per analizzare il problema dell’integrazione con lucidità e distacco. Ma non è così, e troppo spesso ci si pone di fronte al problema con presupposti ideologici anziché con la reale volontà di risolverlo. Perché, per risolverlo, bisogna ammettere che, tra il bianco e il nero, ci sono infinite sfumature, che non tutto il bene e non tutto il male risiedono da un solo lato, e che, per integrare una cultura esterna in un Paese che accoglie, occorre che la cultura oriunda ceda a quella autoctona, altrimenti non c'è possibilità di integrazione. Il nostro Paese sta dimostrando grande rispetto nei confronti delle culture di chi arriva, ma non può esserci la sostituzione della nostra cultura, semmai una naturale, graduale e positiva contaminazione che non può avvenire su basi ideologiche ma soltanto per processi di trasformazione che richiedono tempo. E, soprattutto, è imprescindibile il rispetto per la cultura autoctona, in mancanza del quale ogni tentativo di integrazione rischia di cozzare contro il muro dell’autodifesa e dell’autoconservazione culturale.

Luca Craia

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