Se per certi versi la
risposta del sottosegretario al Miur, Vito De Filippo, data a un’interrogazione
presentata dalla deputata marchigiana PD, Irene Manzi, è tranquillizzante, per
altri crea innegabilmente qualche inquietudine. La Manzi aveva sollecitato un
intervento del Mibact per la salvaguardia dei beni ecclesiastici trasferiti
dalle loro sedi naturali a causa del sisma e collocate dalle diocesi in
depositi spesso non corrispondenti ai minimi requisiti per una conservazione
efficace e duratura. Una preoccupazione condivisibile, perché il rischio di
perdere importanti tesori d’arte scampati al sisma a causa di una cattiva
conservazione esiste ed è elevato. Il
sottosegretario afferma che l’Istituto Superiore di Conservazione e Restauro
sta già lavorando in sinergia con gli uffici periferici del Mibact per la
progettazione e l’installazione di scaffali, box e strumenti di controllo del
microclima, per poter ricollocare i beni recuperati in una situazione di
sicurezza controllata.
A parte la perplessità circa
la capacità concreta di intervento degli uffici periferici, le soprintendenze
regionali, già da tempo depauperate di uomini e risorse, le perplessità
riguardano sia i tempi di intervento che, visti i mezzi in campo e la mole
delle opere su cui intervenire, non possono essere certo brevi, sia il futuro
di queste opere. Dovrebbe essere stabilito fin d’ora l’obbligo di
ricollocazione adeguata, preferibilmente nel contesto originale o, comunque, in
uno spazio adeguato e fruibile dal pubblico.
Le opere ecclesiastiche hanno
la caratteristica di essere collocate nei luoghi originari, chiese e edifici
sacri. Spesso non sono fruibili perché i luoghi di conservazione sono chiusi,
non sono organizzati per accogliere visitatori, e la loro fruizione è preclusa
al pubblico. Il recupero di queste opere dovrebbe prevedere anche la loro
futura fruibilità in modo tale da farle diventare esse stesse volano di quella
ripresa economica che, nelle zone terremotate, passa necessariamente attraverso
il turismo naturalistico e culturale.
Per questo motivo è
necessario che, nell’opportunità per i ministeri competenti di intervenire per
salvaguardare la conservazione delle opere, si preveda fin d’ora quale debba
essere il loro futuro, che certamente non può essere quello di una esposizione
in chiese e palazzi chiusi al pubblico e tantomeno nella consueta catalogazione
dei musei statali che conserva un enorme patrimonio culturale stivato in casse
nei depositi.
Luca
Craia
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