Non c’è da meravigliarsi se
le SAE fanno acqua, se esplodono i boiler, se i tetti sono piatti in aree ad
alto tasso di innevamento. Non c’è da meravigliarsi nemmeno se queste
costosissime baracche arrivano in fortissimo ritardo. Non c’è da meravigliarsi
se le macerie stanno ancora quasi tutte lì e la maggior parte degli immobili
ancora non è stato nemmeno messo in sicurezza, facendo rischiare il crollo
anche a case che non crollerebbero se non crollasse quella di fianco.
Inutile prendersela con chi fabbrica
le casette o le monta. Il problema è che tutto il meccanismo è sbagliato. La
ricostruzione e, prima ancora, l’emergenza dovrebbero essere gestite
localmente, dagli amministratori locali. Il rischio di turbative o
infiltrazioni rimarrebbe lo stesso ma si andrebbe decisamente più spediti. I lavori,
poi, dovrebbero essere affidati a ditte e imprese locali, sia per la conoscenza
del territorio e delle problematiche a esso legate sia per il non trascurabile
effetto positivo sulla ripresa dell’economia.
Costruire casette dall’aspetto
tropicale destinate a zone di montagna è stupido ma avviene sia perché ci sono
delle motivazioni economiche forse inconfessabili sia perché chi ha gestito il
tutto non ha evidentemente la minima cognizione di cosa stesse facendo. La gestione
diretta dal territorio avrebbe sicuramente migliorato la qualità del servizio,
evitato queste ignominie e fatto ripartire l’economia. Ma forse la volontà è
proprio quella di non far ripartire niente e, in questo possibile disegno, allora
tutto quadra.
Luca Craia
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