A me, francamente, di essere
tacciato di razzismo o xenofobia non interessa nulla, in quanto parto sempre
dal presupposto che, con la mia coscienza, i conti li faccio io. Per questo voglio
manifestare, senza ipocrisia alcuna, tutta la mia preoccupazione per la situazione
che si sta verificando a Montegranaro, speculare e forse un po’ più grave di
quella generale, nell’inserimento sociale della comunità magrebina. Due fatti
di sangue gravi, anzi, gravissimi in tre giorni, due liti finite in tentato
omicidio, una il giorno di Natale e l’altra il 27, a chiudere, si spera, un
anno fatto di episodi simili che fanno vacillare il senso di sicurezza dei
cittadini e dovrebbero farci interrogare su come si possa convivere con questi
presupposti.
Che nella comunità magrebina
ci siano tante brave persone è fuori discussione, ci sono come in ogni
comunità. Ma qui il problema serio è che la comunità stessa non agisce per
espellere il male dal suo interno ma sostanzialmente lo protegge e difende. La questione
nasce da lontano, da quando Montegranaro era ancora paese ricco dove trovare
lavoro e futuro. Sono venuti in massa, prima solo gli uomini, adattandosi a
vivere in condizioni disumane per lavorare e per poi ricongiungersi con le famiglie.
Dopo qualche anno sono arrivate mogli e figli. Lavoravano e non creavano
problemi, eccetto qualche caso sporadico.
Poi è venuta la crisi, è
cominciato a mancare il lavoro e la prospettiva per il futuro. I più
volenterosi sono andati altrove, anche all’estero, e sono rimasti quelli,
diciamo, con situazioni più precarie, più al limite, ovviamente insieme ai
pochi fortunati che hanno mantenuto un reddito. Insomma, un vaglio di natura
economica che ha scremato la comunità. A questo va aggiunto un altro fattore
importante: la mancata integrazione delle seconde e terze generazioni, quei
giovani che non sono riusciti a farsi assorbire dal tessuto sociale italiano e
che, in moltissimi casi, non hanno voluto, per motivi culturali o sociali.
Oggi, quindi, ci troviamo di
fronte a una situazione contraria a quella di una ventina di anni fa, in cui in
molti pensavamo che la convivenza fosse possibile e, anzi, costruttiva. Ora
accade, invece, che sono rimasti quasi soltanto i fattori divisivi, e la percezione,
purtroppo suffragata dai fatti di cronaca, è che la convivenza con questa
comunità diventi sempre più complicata e difficile da realizzare.
C’è una legislazione ipergarantista
che peggiora il quadro e non consente l’azione repressive e rieducativa che lo
Stato dovrebbe svolgere nei confronti di chi delinque. Questi piccoli
criminali, che stanno sgretolando un costrutto delicatissimo come la pacifica
convivenza tra due etnie, una autoctona e una oriunda, tendenzialmente poco
conciliabili, non vengono nemmeno puniti in maniera concreta per i loro
misfatti, tornando a occupare stabilmente il loro posto all’interno della
comunità straniera.
E la stessa comunità non
agisce per espellerli, forse perché non ha in mano gli strumenti ma anche e
soprattutto perché culturalmente non attrezzata per farlo. In questo modo,
però, l’integrazione diventa impossibile, e a nulla servono le iniziative
politiche, come i corsi di italiano per stranieri, che appaiono più
estemporanee che appartenenti a un progetto, a una visione di insieme che,
evidentemente, chi ci governa non ha.
Luca Craia
Nessun commento:
Posta un commento