La notizia la dà l’ANSA: la
statale della Valnerina, riaperta seppure con forti limitazioni lo scorso
ottobre, è stata di nuovo chiusa per consentire l’esecuzione della fase due del
progetto di ripristino della strada di principale collegamento a ovest per l’Alto
Nera. I lavori, che dureranno fino a fine gennaio, riporteranno il Nera nella
sua sede naturale, occlusa da un’enorme frana causata dal terremoto dell’ottobre
2016 che ne causò la deviazione verso la strada che fu divorata dal fiume
stresso. Nella prima fase sono state messe in sicurezza le pareti rocciose e
ora, con la deviazione del fiume e il ripristino dell’alveo naturale, si procederà
con la ricostruzione della strada.
È fondamentale che la
Valnerina torni a essere fruibile quanto prima. Il danno economico del mancato
collegamento a ovest è enorme e facilmente comprensibile, essendo l’area dell’Alto
Nera meta di un turismo che, per la maggior parte, proviene dall’Italia tirrenica.
Inoltre la strada è sempre stata uno dei passaggi naturali per il traffico
commerciale verso l’Umbria e il Lazio. È per questo che non ci capisce come mai
i lavori per il ripristino della statale siano iniziati a un anno dal sisma. La
logica avrebbe voluto che il ripristino della Valnerina fosse stato considerato
prioritario. Invece l’intervento è avvenuto con notevole ritardo, adducendo a
giustificazione dello stesso fantomatici studi propedeutici alla realizzazione
dei lavori, studi che, ad oggi, sembra non siano mai stati fatti senza che
questo impedisca l’intervento.
Ad ogni buon conto, la
riapertura della Valnerina, che ormai possiamo considerare prossima, è un enorme
passo avanti per la normalizzazione dell’area e la sua rinascita e sono convinto
che tutto ciò sia il risultato anche della pressione mediatica che è stata
esercitata di controcanto all’informazione ufficiale.
Luca Craia
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