Siamo a un anno e mezzo
esatto dal quel 24 agosto 2016 che segnò l’inizio dell’Apocalisse per la
regione montana dell’Italia Centrale, una data in cui la natura iniziò a distruggere
le città e la politica iniziò a distruggere le comunità. Da allora la terra non
ha mai smesso di tremare, anche se la forza distruttrice sembra essersi
placata. La politica, invece, ha continuato con uguale pervicacia e
determinazione la sua opera di smembramento sociale, applicata con sapienza e
metodo nel tempo, mascherando di inettitudine un disegno preciso e
accuratamente studiato. Il sospetto che l’intento di spopolare l’area colpita
dal sisma fosse nascosto dietro lentezze burocratiche e inspiegabili soluzioni
politiche e legislative ad alcuni venne molto presto, ma c’è voluto un anno e
mezzo per essere quasi certi che la reale intenzione fosse proprio quella di
rendere il più deserta possibile una porzione di Paese difficile da gestire, costosa
da servire ma anche ricca di materie prime importanti, vedi l’acqua, e di spazi
utilizzabili per fini difficili da portare a termine in presenza di popolazioni
riottose.
Ora è possibile anche fare il
punto dello stato di avanzamento del progetto di desertificazione, essendo
passato un lasso di tempo ragionevole per verificarlo. Ebbene, si può dire che,
in questo senso, è stato fatto un buon lavoro. Certo, magari ci si aspettava un
risultato migliore, mentre ancora ci sono sacche di popolazione che resistono
temerariamente e continuano imperterrite ad abitare quelle terre, ma l’opera
compiuta a ridotto notevolmente il numero degli abitanti e, soprattutto, ne ha
quasi totalmente distrutto la capacità di sostentamento. Le attività produttive
sono state fiaccate, molte sono quelle che non ce l’hanno fatta a resistere,
l’economia legata al turismo, strettamente connessa al territorio e alla
produzione agricola e gastronomica, è stata mortificata enormemente, non
essendovi più la possibilità di utilizzare il patrimonio culturale, seriamente
compromesso dal sisma e ancora abbandonato a se stesso, e con le attività di
produzione e vendita ridotte al lumicino.
I ritardi nella consegna dei moduli abitativi e la scarsissima, quasi
scandalosa, bassa qualità degli stessi hanno indotto gli sfollati a non
rientrare e sono ancora molti quelli che non riescono a fare ritorno, con una
buona percentuale di persone che hanno preferito insediarsi altrove,
innestandovi anche la propria attività.
Certo, la riapertura della
statale della Valnerina è un brutto colpo per la desertificazione: ora il
flusso turistico e commerciale proveniente dall’Italia dell’ovest potrà essere
ripristinato, ma era necessario in tempi di elezioni e di ricerca di consenso.
Del resto gran parte del danno è stato fatto ed è difficilmente sanabile, e ci
si può sempre inventare qualcosa di nuovo per scoraggiare i tentativi, ancora
possibili, di rianimare l’economia locale. Direi quindi che siamo a buon punto
e, quandanche non sarà possibile rendere perfettamente spopolata la regione
montana, al termine del processo gli insediamenti umani saranno talmente
ridotti da non rappresentare più un problema. A quel punto questa terra ricca
di risorse e di spazi vuoti potrà essere utilizzata in modo proficuo, con buona
pace dei testardi montanari che la abitavano.
Luca Craia
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