Si picchiano come si
picchiavano negli anni ’60 e ’70, anni che, nella mente di alcuni, sono un qualcosa
di mitologico al netto del fatto che hanno innescato gli anni di piombo e il
periodo più buio della storia italiana recente. In effetti la violenza che si
manifesta in quella che dovrebbe essere dialettica politica e invece diventa
puntualmente scontro assomiglia molto a quella degli anni immediatamente
precedenti a quelli che hanno macchiato di sangue la nostra democrazia, una
somiglianza pericolosa e preoccupante. Ma la violenza non è solo quella
concreta e fisica degli scontri tra fascisti e fasciocomunisti, accomunati
dalla stessa identica idiozia, ma risiede, anzi, si fonda proprio sul confronto
dialettico, un confronto che non avviene più sui temi ma che si fonda sul
tentativo di annullamento dell’avversario sul piano personale.
La campagna elettorale che,
grazie a Dio, finirà la prossima settimana si è caratterizzata per un vuoto
totale di proposte politiche, a meno che non si vogliano classificare come
proposte le stupidaggini che stanno cercando di farci bere. Il vuoto lasciato
dalla carenza di programmi e di idee è stata colmata con fiumi di accuse
reciproche e una violenza, in questo caso solo verbale, che non risparmia nessuna
delle parti in campo. Una violenza che, poi, diventa fisica quando assimilata
da poveri di spirito che, piuttosto che accendere quella strada cosa di cui
potrebbero anche essere dotati, il cervello, preferiscono vedere il sangue dell’avversario.
Ma è una violenza che serpeggia ovunque e che anima e pulsa nei social network
dove, volenti o nolenti, tutti siamo immersi e dai quali in molti attingiamo
spunti di riflessione quando non informazioni.
Chi
frequenta Facebook sa di cosa parlo: lo scontro verbale è all’ordine del
giorno, alimentato sapientemente da profili fantasma, falsi, abilmente
manovrati per generale asti e polemiche, polemiche che poi si ripercuotono
nella vita reale. E tutto questo meccanismo è presumibilmente voluto e
studiato, in perfetto stile divide et impera. Ma è pericolosissimo: primo perché,
come dicevamo, rischiamo di riprecipitare negli anni di piombo aggravati da un
imbarbarimento generale della società civile che, negli anni ’70, non esisteva.
Secondo perché questo imbarbarimento può radicarsi e generare situazioni
antidemocratiche. Insomma, stiamo rischiando il totalitarismo, forse un nuovo tipo
di totalitarismo, che finalmente butta la machera e si mostra per quello che è:
una mostruosità che non è agganciata ad alcuna ideologia se non quella del
profitto e sulle ideologie basa la sua azione disgregatrice della società
civile.
Luca Craia
(foto: Il Tempo)
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