Ho guardato con molto
interesse il dibattito in corso sull’opportunità che i terroristi delle Brigate
Rosse vadano in televisione a portare testimonianza di quei terribili anni di
cui sono stati tremendi protagonisti. Ho aspettato un po’ per scriverci perché anche
io, al momento, ero piuttosto adirato nel vedere quei volti sorridenti e quelle
parola sostanzialmente leggere appartenenti a chi dovrebbe, quanto meno da un
punto di vista morale, tacere per il resto della propria vita e parlare
soltanto per dire finalmente quelle verità che, dopo tanti anni, lacrime,
dolore e sangue, ancora latita. Ma ci ho ragionato.
Credo che l’uomo dotato di
discernimento possa ascoltare il racconto dei vari Faranda, Moretti, Balzerani
e compagnia cantante, anzi, sparante traendone il giusto insegnamento, ossia
che l’uomo può essere cattivo, ma cattivo sul serio, tanto cattivo da
imbracciare un mitra per promulgare e imporre la propria idea politica e si
badi bene, per imporre un’idea, non per difendere un diritto. L’uomo intelligente
può vedere il sorriso su quei volti, ascoltare le loro parole tuttora ignobili,
la loro ironia, la loro persistente giustificazione dell’ingiustificabile, l’uomo
intelligente può sopportare la nausea, controllare la rabbia e utilizzare tutto
questo per capire meglio certi meccanismi. Perché certi meccanismi vanno
capiti, perché certi meccanismi ancora esistono e funzionano. Perché certi
meccanismi rappresentano tutt’ora e, forse, oggi più che mai un serio pericolo
per tutti.
A me vedere gli assassini che
si facevano chiamare (e lo fanno ancora) “Brigate Rosse” in televisione che
pontificano e parlano di morale politica non fa paura. Magari fa rabbia ma non
fa paura. A me fanno paura i centri sociali che li invitano, i giovani che
ascoltano le parole di questi criminali privi di umanità e le prendono a insegnamento,
quei giovani che poi, magari, in nome dei diritti dei più deboli picchiano a
sangue un carabiniere che ha avuto la sventura di scivolare davanti a loro
durante una manifestazione, quei giovani che auspicano la morte dei poliziotti,
che lanciano molotov, che spaccano vetrine e automobili. A me fanno paura quei
giovani, perché tra loro potrebbe nascondersi un nuovo Mario Moretti, un nuovo
Gallinari.
È un momento storico delicato
e lo vediamo da molti segnali. La sinistra antagonista e rivoluzionaria ha
sempre rappresentato un pericolo per la democrazia ma, dopo il fallimento del
progetto eversivo delle BR e dei gruppi paralleli, l’avvento del berlusconismo
aveva coagulato le forze antiberlusconiane in un unico amalgama disomogeneo ma
compatto, mescolando centristi a estremisti di sinistra con l’unico obiettivo
di combattere e sconfiggere il comune nemico.
Oggi, sostanzialmente caduto
Berlusconi, ognuno torna se stesso e, come io, fondamentalmente moderato di
cultura laica, posso tornare ad avere una visione politica più ampia, l’estremista
di sinistra ritorna al proprio ruolo che, potenzialmente, è pericoloso per la
società. Il ritorno alla manifestazione violenta, alla teorizzazione della
legittimazione dell’uso della forza contro l’avversario, indicato sempre e
comunque come fascista e, infine, l’estrazione dalla naftalina dei promotori
teorici e pratici della lotta armata, fanno temere un ritorno alle condizioni
che, cinquant’anni fa, portarono l’Italia a vivere uno dei periodi più bui
della propria storia.
Il giornalista fa il suo
mestiere quando intervista un ex terrorista. Fa informazione, fa ricerca
storica. Ma attenzione alla legittimazione. Va sempre e comunque chiarito che
chi viene intervistato è un assassino, una persona che ha ucciso o fatto
uccidere, che ha tentato di sovvertire col sangue l’ordine democratico, che ha
attaccato i nostri valori con l’intento di distruggere. Questo è il messaggio
che deve passare quando certi personaggi vengono dotati di un pubblico. E deve
essere chiaro che chi giustifica in qualsiasi modo e sotto qualsiasi forma la
storia scritta da questi criminali, è un loro complice ed è criminale quanto
loro.
Luca Craia