Le comunità di persone sono
fatte di simboli, di punti di riferimento, di capisaldi che fanno sì che chi vi
appartiene possa trovarsi a proprio agio, a casa propria nel luogo in cui vive.
E vivere in un luogo significa appartenere al luogo stesso, alla comunità che
lo abita e ad ognuno dei membri di questa comunità. Il terremoto del 2016 ha
rotto questa struttura delicata e particolare e ora ricostruire significa non
soltanto ritirare su le case ma anche riallacciare, riannodare, rammendare
questi fili sottili.
Rita è un punto di
riferimento assoluto e indiscutibile per la comunità di Castelsantangelo Sul
Nera. Il suo bar in piazza del Ponte c’è sempre stato, pieno di turisti ma
anche luogo di incontro per gli abitanti del paesino. Chi ci è entrato, anche
solo una volta, non può non ricordarlo, sia per la bontà del caffè, il cui profumo
si sentiva da lontano, sia per la cortesia della proprietaria. Ma, soprattutto,
quello che a me ha sempre impressionato è l’aria di casa, quell’entrare e
uscire di gente del posto che faceva di quel bar un’istituzione, quanto la
chiesa lì di lato o il Comune.
Ora Rita riapre, alla non più
tenera età di 77 anni. Riapre ovviamente non in piazza ma tra le casette
preconfezionate fornite dallo Stato, un luogo freddo e asettico che deve
necessariamente cercare di ricostruire il calore del borgo, il tessuto sociale,
la comunità. Ha coraggio, Rita, a ripartire dopo tutto quello che è successo.
Ma non è solo coraggio, è amore. Questo è quello che definisce realmente una
comunità: l’amore per la terra e per la gente che la calpesta. La riapertura
del bar di Rita è un simbolo forte, è un fatto che dà speranza. L’amore per
Castelsantangelo c’è, e la comunità può risorgere.
Luca Craia