Faccio una premessa, onde evitare che qualche sindaco mi denunci, hai visto mai: sto
scrivendo una mia opinione personale, non una notizia, per cui, se non si è d’accordo,
evitiamo per favore l’accusa di moda oggigiorno, quella di diffondere bufale,
fake news. Definiamo il termine: fake new, tradotto in italiano, significa
notizia falsa. Mi pare avvilente specificare che, se uno scrive la propria
opinione su un determinato argomento, non può in alcun modo scrivere una fake
new perché, prima di tutto, non sta scrivendo una notizia, in secondo luogo perché
un’opinione può essere opinabile, discutibile, persino stupida ma certamente
non può essere falsa, proprio in quanto opinione.
Sono pochi, in Italia, a
potersi permettere il lusso di usare gli organi di informazione per il proprio interesse.
Bisogna possederli, i mezzi di informazio, almeno possederne parecchi, oppure bisogna occupare ruoli
di potere molto ma molto in alto. Se non si soddisfa almeno una di queste
condizioni o, preferibilmente, tutte e due, rimane difficile manipolare le
notizie e si rischia di farsi male, non solo, di far male alla causa per la quale
si combatte. Io, a volte, capisco le intenzioni di certe istituzioni locali, ansiose di difendere il proprio operato e, magari, anche il territorio che amministrano; le capisco ma non posso condividere
il merito delle sue accuse all'informazione non condivisa, accuse che, per chi fa,
appunto, informazione, sono pesanti e offensive. L’accusa di diffondere notizie
false è un’accusa molto grave, un'arma che può far male che può anche ritorcesi contro chi la usa.
Lo stesso vale per la
minaccia di adire vie legali contro chi è colpevole di aver espresso una
propria opinione, quandanche questa opinione sia contraria alla propria,
persino se questa opinione ci fa proprio saltare i nervi, posto che, chi occupa
un ruolo istituzionale, dovrebbe quantomeno saper controllare i propri nervi. È
un comportamento molto diffuso, in questi tempi bui, quello di minacciare
azioni legali così, come si augurasse buongiorno. È un sistema che, nella testa
di chi lo usa, serve a tacitare le voci contrarie, quelle che non fanno comodo.
Spesso neanche funziona, ma è comunque raccapricciante, becero, dittatoriale e,
consentitemi, anche un po’ mafioso, laddove la lupara viene sostituita dalla
carta bollata.
C’è una gran voglia di
silenzio tra i terremotati, e la capisco. Ma non la condivido. Il silenzio non
può essere telecomandato, non si possono tacitare le voci, quelle stesse voci
che, fino a che hanno pronunciato parole concordanti con le proprie idee e i
propri bisogni, erano ben accette, anzi, amplificate. In democrazia l’opinione
contraria va accettata, eventualmente discussa e confutata, ma mai tacitata. È pericoloso
chiedere il silenzio, in certi casi, perché lo si potrebbe ottenere. Ce n’è già
tanto, di silenzio, troppo. Ai pochi che ancora alzano la voce, che ancora
cercano di veicolare le istanze rimaste inascoltate, non si può chiedere il
silenzio a comando, per poi riaccendere il megafono quando se ne ha la
necessità. Si rischia che non si riaccenda, o che sia occupato da altre voci.
Luca Craia