“Signore,
io sono Irish, quello che non ha la biciletta”, recitava il testo della nota
canzone dei New Trolls, scritta per loro da un giovanissimo Fabrizio De Andrè partendo
da una poesia di Riccardo Mannerini. Un pezzo storico del progressive rock
italiano con un significato profondissimo e toccante. Mi è tornata in mente l’altro
giorno quando, per strada, andando al lavoro, ho incontrato uno dei tanti
immigrati africani in bicicletta. Mi è venuto automatico il parallelo tra
Irish, probabilmente egli stesso emigrato dall’Irlanda nella promettente
America di un paio di secoli fa, e questi nuovi migranti del ventunesimo
secolo.
Irish
desiderava la bicicletta per andare in chiesa la domenica, e la chiedeva a Dio
come regalo, come allegoria della mancanza di fede, certamente, ma a me
interessa la raffigurazione estetica, interessa Irish a piedi, che desidera un
mezzo per muoversi ma un lavoro ce l’ha. E Irish probabilmente ha un lavoro al
limite dello schiavismo, dai Lancaster, a raccogliere cotone o chissà che
altro, a spaccarsi la schiena, i suoi “reni non cantano”, dice la canzone. Ma
Irish ha un’aspettativa, vive in un Paese nuovo, pieno di prospettive e di promesse da mantenere. Irish ha un futuro, per lui e per Ester, la sua donna, e i figli
che verranno. Desidera la bicicletta, ma ha la possibilità di avere molto di
più.
L’Irish
che viene in Italia nel ventunesimo secolo ha la bicicletta. Gliela danno
quelli che lo accolgono in nome di una solidarietà pelosa, fatta di soldi a
fiumi, di guadagni più o meno leciti, di sistemi economici basati su questa
povera gente a cui viene data una bicicletta e gli viene detto “vai a lavorare”.
L’Irish di oggi va a lavorare, magari non dai Lancaster, ma molto spesso in
situazioni molto simili a quelle in cui lavorava l’Irish di Mannerini. Ha la
bicicletta, l’Irish moderno ma, al contrario dell’Irish cantato da De Scalzi,
non ha aspettative, non ha futuro, non ha possibilità.
Il punto
è questo: stiamo facendo venire in Italia gente disperata alla ricerca di un
futuro ma non siamo in grado di darglielo. L’Italia non sta offrendo più un
futuro nemmeno ai propri giovani, tantomeno alle persone mature, quelli che
perdono il lavoro e devono riciclarsi, quelli che pagano una vita per una
pensione da fame che vedono allontanarsi sempre di più, quelli che, se si ammalano,
non possono curarsi e muoiono tra le grinfie di una sanità sempre più malata.
All’Irish moderno non stiamo offrendo null’altro che una bicicletta e un lavoro
da schiavo.
Tutto
questo è ignobile, vergognoso. È più vergognoso di come potrebbero aver
trattato Irish i Lancaster dell’America dell’800. Perché noi lo sappiamo che il
nostro, di Irish, non ha futuro. Lo sappiamo, ma gli diamo la bicicletta e
tanta solidarietà, tante parole ridondanti e gocciolanti di miele, ma il futuro
non c’è, e Irish comincia a capirlo. E quando lo capirà saranno problemi per
tutti.
Luca Craia