Duri a morire, anzi, capaci di far danno anche dopo morti,
sempre che morti siano perché, sono convinto, nella loro testa c’è la
convinzione che torneranno presto al potere. Per cui le ultime azioni di
Gentiloni & Co. al governo del Paese sembrano, più che un bruciare i ponti
scappando in ritirata, un prepararsi il terreno per un ritorno in grande stile.
E la cosa potrebbe anche capitare, visto il pressing internazionale contro il
governo gialloverde.
L’ultimo regalo che ci ha lasciato il simpatico tolentinate
è questo: una legge, da lui firmata e poi emendata da altri compari di partito
(il termine “compagni” non va più di moda) è una legge che nasce dal
recepimento di disposizioni europee ma che nasconde al suo interno due
provvedimenti che puntano in maniera decisa e chiara a controllare
dettagliatamente quello che gli Italiani fanno sul web. È un trucco più volte
utilizzato per inserire in leggi più burocratiche che altro azioni con valenza
politica molto pesante, esattamente come in questo caso.
A spiegarcelo è Il Fatto Quotidiano e mi permetto di
rilanciare l’informazione perché ritengo giusto che sia il più capillare
possibile. Quando si recepisce una prescrizione comunitaria, l’iter di
approvazione è molto snellito, la discussione stringata e gli emendamenti,
discussi in maniera assolutamente non esaustiva causa i tempi ristretti,
arrivano alla seconda camera per l’approvazione definitiva senza la possibilità
di essere discussi. Per questo motivo si inseriscono in leggi di questo tipo
emendamenti che magari c’entrano poco ma che potrebbero essere bloccati se
proposti come legge a se stante.
In questo caso gli emendamenti di questo genere sono due e
riguardano entrambi la libertà degli Italiani: il primo, fortemente contestato
dal Garante della Privacy senza alcun risultato, impone ai provider la
conservazione dei dati relativi agli utenti (telefonate, chat, pubblicazioni
sui social) per sei anni. Sei anni sono un tempo lunghissimo ed espone questi
dati a molteplici rischi, tra cui quello di essere intercettati da malintenzionati
e utilizzati per scopi illeciti. Ma il rischio più grande è che questi dati
possano diventare uno strumento di repressione nel caso il Paese prenda derive
antidemocratiche, e il rischio, conoscendo i soggetti che propongono la norma,
non è per niente remoto. Immaginate un governo che possa avere a disposizione
tutto quello che dite o scrivete nei nuovi mezzi di comunicazione: avrebbe modo
di usare questi dati in mille maniere, anche per ricattare e tacitare eventuali
“disturbatori”.
L’altro emendamento è anche più pericoloso: come sappiamo, i
provider possono tracciare ogni nostri movimento, sia digitale che reale. Per
esempio, utilizzando un Google Maps e il GPS, lasciamo una traccia precisa dei
nostri spostamenti. Con la nuova norma i provider potranno tenere sotto
controllo questi movimenti non più soltanto dietro la richiesta della
Magistratura, come funziona oggi, ma basterà una richiesta dell’esecutivo. In
sostanza il Governo può sapere ogni cosa che fate o dite.
Visto l’uso che si voleva fare della Costituzione e il
reiterato tentativo di toglierci il più possibile i diritti democratici
fondamentali, come quello di voto (vedi le Province, per le quali non votiamo
più, o il fallito tentativo di trasformare il Senato in una Camera nominata e
non eletta, o le liste elettorali stesso dove non possiamo più esprimere
preferenze), avere qualche timore che questo sia un tentativo di avere uno
strumento di controllo e repressione formidabile mi pare per niente peregrino.
Luca Craia