Lo sapevano che sarebbe finita. Era programmato, perché tanto
è sempre così: all’inizio la rabbia e la frustrazione conducono la battaglia ma
poi subentra la stanchezza, la rassegnazione, specie se vedi che gli sforzi che
compi non portano a nulla, specie se sbatti costantemente contro un muro,
specie se il mostro di gomma contro cui ti tocca combattere è fortissimo e
riesce a dividere chi protesta in mille piccoli e insignificanti rivoli. È matematico:
alla fine, chi protesta, si arrende.
Ci hanno messo due anni ad arrendersi, i terremotati del Centro
Italia, ma ora credo che la pratica possa essere archiviata. Di tutte le
proteste iniziali è rimasto ben poco: soltanto un centinaio di gruppi Facebook,
spesso in contrasto tra loro; leader che rappresentano poco più che se stessi,
anche perché ci sono quasi più leader di comitati che terremotati; iniziative a
cui partecipa sì e no chi le ha organizzate. Rimangono le inaugurazioni, le
foto sorridenti col Presidente, l’Assessore, il Senatore, il Sottosegretario a
non si sa cosa. Rimangono i libri scritti dai passionari che, almeno loro,
qualcosa ci hanno guadagnato, col terremoto, così come i fotografi poeti con le
loro mostre itineranti, così come i giornalisti accreditati e i loro
lacrimevoli reportage sempre attenti a non urtare i poteri in campo mentre
corrono dietro a Marcorè e simili per raccogliere qualche briciola e un po’ di
lavoro stabile, finalmente.
Si è fatta un sacco di politica sul terremoto. Sono
decollate carriere, si è cavalcata la tigre, si è strumentalizzato tutto da una
parte e dall’altra e, alla fine, non si è mosso niente. Che la ricostruzione
non parta è sotto gli occhi di tutti. Fa rabbia? Senza dubbio. Ma non si muove
più nessuno, sia perché si è stanchi e rassegnati, sia perché si è pochi, si è
soli, non si riesce a mettersi d’accordo su nulla, si litiga su chi sia più o
meno terremotato. Gente sfinita, che ha aspettato una casetta di legno
compresso per mesi e mesi e se la vede ammosciare fradicia dopo poche settimane
che ci vive, che forza potrà mai avere per reagire, ormai?
Tutto questo era noto, era programmato. È stato fatto un
gran bel lavoro, conoscendo il territorio e la sua gente, gente che ha tanti
pregi ma che è afflitta da un campanilismo talmente radicato che rimane insuperabile
persino nella catastrofe. Lo sapevano, e hanno utilizzato bene questa risorsa.
La gente se ne sta andando, chi non se ne è andato lo farà, prima o poi, perché
non si riparte, e se non si riparte dopo tanto tempo, non si riparte più. Rimarranno
in pochi, ammassati in un paio di centri più grandi, e spariranno i borghi, le
frazioni, le piccole comunità. Così si desertifica un territorio e questi qua
lo sanno fare bene.
Luca Craia