Agiscono fin dall’indomani della prima scossa, nell’agosto
del 2016, e non hanno mai smesso di lavorare per tenere bassa la protesta, per
sminuire le recriminazioni, per delegittimare le informazioni reali. Non si sa perché
lo facciano: disciplina di partito, forse, visto che si tratta quasi sempre di
gente inquadrabile politicamente, con passati e presenti di attivisti di
sinistra; oppure per forma mentis, abituati a non ragionare ma a ricevere dati
e rigettarli senza elaborazione alcuna. Alcuni lo fanno evidentemente per
ritorno personale, magari aspirando a qualche incarico professionale, a qualche
favore personale, a scavalcare semplicemente la fila nello sport più italico
dopo, o prima, del pallone.
Il normalizzatore del terremoto agisce sui social, questo
strumento nuovo ma ormai non più nuovissimo che, a quanto pare, chi deve lo ha
imparato a utilizzare molto bene. Solitamente è un terremotato, autoctono, col
la casa di residenza danneggiata, o importato, con la casa dei parenti, magari
frequentata sporadicamente prima del terremoto. È ben introdotto nei gruppi
Facebook, magari ne ha anche fondato qualcuno, e lì protesta con misura, ogni
tanto si indigna ma mai con troppa convinzione, magari supporta con discrezione
questo o quel politico locale, ma quando viene fuori la bomba, e di bombe ne
abbiamo viste tante in questi due anni e mezzo, è prontissimo a disinnescarla.
Per bomba intendo quella notizia che scopre gli altarini del potere, che fa
capire effettivamente come stanno le cose, quanto è grande la misura della
presa per il sedere.
Come fanno a disinnescare la bomba? L’azione in genere parte
da prima, col chiacchiericcio, col pissi pissi bau bau che tanto piace alla
sinistra nostrana: identificano i diffusori di informazioni contrarie e li
delegittimano quotidianamente, gli trovano un nomignolo (a me, tra in tanti epiteti
meno simpatici, mi chiamano anche “blogghettaro”, che non so che significa ma
pare funzioni), cercano di farlo passare per un contaballe e, sempre evitando il
più possibile il contraddittorio, hanno gioco facile. Quando invece la bomba
scoppia, gridano alla fake news. Oggi questo termine piace molto, insieme a “bufala”.
E allora c’è il normalizzatore di secondo livello che dice: “sarà una bufala?”,
instillando il dubbio. E, all’occorrenza, scende in campo quello di primo
livello, che cerca di dimostrare che l’informazione data è falsa o, quanto meno,
sbagliata.
Facciamo l’esempio, tanto per capirci, dell’ultimo caso,
quello delle piste ciclabili finanziate coi fondi Por Fesr. In una condivisione
su un gruppo che tratta di terremoto e terremotati del mio articolo, quello che
ha scoperchiato il pentolone, parte un tipo che dice la consueta frase “sarà
una bufala”. Poi arriva il normalizzatore di primo livello, un politicuccio
locale, ben inserito nella nomenclatura di partito, che commenta, rivolto alla
persona che ha condiviso il mio post: “devi cambiare blog”. Allora questa
persona reagisce e risponde: “perché? La notizia è falsa?”. Nessuna risposta.
Ma il normalizzatore continua con altri commenti sotto, e comincia a parlar
male della fonte, definendola “una delle più grandi fonti di bufale sul
terremoto” (cosa, tra l’altro, piuttosto diffamatoria, se vogliamo). Ma mai
dice se la notizia sia falsa o no, quello che gli interessa è instillare il
dubbio.
Dubbio poi rafforzato dalla consueta informazione di regime,
ribattuta e ricondivisa da tutto l’esercito dei normalizzatori: non sono fondi
per la ricostruzione, potevano farci solo quello. Questa è la vera fake news, e
lo sappiamo in molti, ma non lo sanno tutti. Inutile spiegare che sì, non sono
fondi per la ricostruzione ma potevano essere impiegati, visto che arrivano
dall’Europa proprio per sanare le ferite economiche e sociale inflitte dal terremoto,
per opere più importanti, come le strade ancora chiuse, le strutture turistiche.
Ma intanto passa, capillarmente, il concetto che i poveretti di Ancona non
potevano far altro che finanziare le piste ciclabili. E il concetto passa,
magari non per tutti ma per molti. E ci si divide, e si litiga, e così un
fronte comune non si creerà mai come non si è mai creato. Il ruolo del
normalizzatore è proprio questo. Uno sporco lavoro, davvero, ma qualcuno deve
pur farlo.
Luca Craia