La moda del momento è la notizia dell’immigrato o del gruppo
di immigrati che si prestano gratuitamente a svolgere lavori socialmente utili.
Se lì per lì la cosa può far piacere e dare l’impressione che si stia andando
nella giusta direzione per un’integrazione che sembra sempre più difficile da
raggiungere, dall’altro occorre fare un ragionamento. E il ragionamento parte
da un principio semplice che dovrebbe essere universalmente riconosciuto: il
lavoro va pagato.
Non è giusto che una persona lavori gratis, per nessun
motivo. C’è una storia di lotte sindacali, di rivendicazioni, di violenze
subite dai lavoratori, di diritti negati per giungere ad avere un giusto
salario per l’opera che si presta. L’uomo che lavora gratis non è un uomo
libero, e forse è proprio a questo che si tende, a una sorta di nuovo
schiavismo mascherato da progressismo, una solidarietà finta e pelosa.
Nello stesso tempo si crea un danno al lavoro regolarmente
retribuito, perché si innesca un sistema di abbassamento coatto del costo del
lavoro, una sorta di concorrenza estrema che può soltanto aggravare la già difficile
situazione economica. Quando l’ente pubblico commissiona un lavoro a immigrati,
richiedenti asilo, detenuti e altre categorie in situazioni di disagio, in
realtà crea un danno al mercato del lavoro regolare, perché quel lavoro
andrebbe svolto da manovalanza regolare e regolarmente pagata mentre, se svolto
gratis sotto forme di volontariato, crea una perdita di lavoro a chi lavora
regolarmente.
Quando leggiamo di immigrati, detenuti e quant’altro che
svolgono lavori socialmente utili per il Comune o per questa o quella
amministrazione, stiamo assistendo allo sfruttamento del lavoro e alla
depauperazione dei lavoratori. Quindi c’è poco da plaudire.
Luca Craia