Di Battista vuole la leadership. Pare evidente a cosa punti
l’esponente pentastellato, appena rientrato in campo ma già in grande spolvero.
Del resto la dicotomia tra lui e Di Maio è cosa ormai antica e mai risolta,
considerando fuori dai giochi Fico che pare essere soddisfatto del suo nuovo
ruolo istituzionale e dalla possibilità di perpetuare il modus operandi della
Boldrini. Ora che la guida del movimento è in mano a Di Maio, Di Battista ha
deciso che se la vuole riprendere, costi quello che costi.
E costerà, anche parecchio, non solo al Movimento ma a tutti
gli Italiani. Perché per assumere il comando del vascello, Di Battista sta
rendendosi campione della base malpancista, quella che non ha mai digerito l’accordo
o contratto che dir si voglia con la Lega di Salvini, quella che ogni giorno
sui social sputa veleno sul Governo come nemmeno i più beceri piddini riescono
a fare. Dibba sta interpretando al meglio questo malessere che potrebbe e pare
essere maggioritario nella base grillina. In questo modo mina le fondamenta
della leadership di Di Maio, ma mina anche la stabilità del Governo che,
traballa oggi, traballa domani, alla fine ci sta anche che caschi.
E se casca il panorama non è né roseo né scontato. Se si va
velocemente al voto, è anche possibile che Salvini faccia cappotto, ma se
questo non accade, e con Mattarella Presidente non è per niente facile che
accada, si profila l’ipotesi dell’ennesimo governo di garanzia, governo che
troverà quasi certamente l’appoggio di PD e Forza Italia. E saremmo punto a
capo, governati da non eletti. Di Battista non sembra curarsi di questa
possibile conseguenza, come del resto non se ne cura la base grillina con un
corale “muoia Sansone con tutti i Filistei. Ma i Filistei, e questo forse non l’hanno
capito, sono anche loro.
Luca Craia