Stiamo assistendo da diversi anni a un progressivo
decadimento dell’azione politica propriamente detta, intendendo per azione politica
il modo stesso di muovere azioni, proposizioni, proposte nell’atto di governare
o di controllare l'operato di chi governa, che diventa ogni giorno più preoccupante e pare
andare nella direzione di una demolizione sostanziale del sistema democratico,
laddove questo prevede la libertà di pensiero e di espressione dello stesso da
parte dei cittadini, non tramite azioni violente come è tipico dei
totalitarismi fin qui storicamente noti, ma per effetto di strumenti totalmente
legali ma utilizzati a scopo politico e intimidatorio.
Mi spiego meglio e in parole più semplici: oggi si fa politica
con le querele e le minacce di querela. Non si discute, non si argomenta, non
esiste più un confronto democratico rispettoso dell’interlocutore anche se aspro,
è finita ogni forma di dialettica. Nell’epoca dei social, dove ognuno ha in
mano strumenti formidabili per esporre e condividere il proprio legittimo
pensiero, quando questo non è gradito al potente o presunto tale, l’unico mezzo
di contrasto sembra essere l’azione legale, quasi sempre temeraria e infondata, ma che
comunque sortisce l’effetto, nella maggior parte dei casi, di tacitare o almeno
smorzare la polemica.
Il meccanismo è semplice anche se non è noto a tutti, tanto
che è uso pensare che, qualora si riceva una querela per diffamazione, quando è
evidente che non ci sono i presupposti per la stessa, si possa andare comunque
avanti senza timori. Non è così e vi spiego perché. Quando si riceve una
querela, il querelato deve nominare un proprio difensore. Non può esimersi dal
farlo. Se non ne ha uno di fiducia gli viene attribuito un legale d’ufficio che poi dovrà
pagarsi comunque da solo a meno che non versi in condizioni di vera indigenza.
Qualora, poi, come capita molto spesso, il procedimento si fermi per archiviazione,
le spese legali per la difesa rimangono a carico del querelato a meno che
questi non voglia a sua volta intraprendere un’azione legale per farsi
risarcire, imbarcandosi in una causa civile che potrebbe durare anni. Non tutti
possono permettersi di sostenere queste spese.
Immaginiamo un giornalista locale che lavora prendendo un
compenso un tanto al pezzo, che non abbia un contratto di dipendenza diretta e
che, quindi, non abbia una copertura da un punto di vista legale da parte del
proprio editore. Quanto serenamente e liberamente potrà esprimere il proprio
pensiero, sapendo che, se dice una sola parola fuori posto, rischia di
prendersi una querela e, quindi, oltre a dover subire una spiacevolissima trafila
giudiziaria, dovrà sobbarcarsi le spese legali per difendersi? Immaginiamo un
blogger, che non ha editore, che non ha nessuno che lo sostenga, che faccia
quello che fa per pura passione (e non per quei quattro spiccioli di pubblicità
che arrivano, come i soliti noti amano dire confondendo chi scrive di petti di
pollo all’arancio o di pizzi e chiffon con chi fa battaglie politiche), con
quanta tranquillità potrà esprimere il proprio pensiero quando viene
costantemente minacciato di azioni legali.
Tutto questo è ben noto a chi muove certi fili, e lo usa
nella maniera più proficua, per bloccare e tacitare l’opposizione dell’opinione
pubblica. A rischiare certamente sono quelli che si espongono, prima di tutto i
giornalisti e i blogger, o coloro che cercano di uscire dal mondo virtuale in
cui oggi è relegata la protesta per proporre azioni concrete. Certamente
rischiano poco o niente gli utenti dei social, lasciati a urlare le loro
invettive più o meno liberamente perché anche questo fa parte del sistema.
Già, perché i rivoluzionari con la qwerty, quelli che sono pronti
a prendere la Bastiglia senza muoversi dal divano, sono contemplati, anzi,
perfettamente integrati nel sistema di controllo della protesta. E questo
semplicemente perché, finchè protestano dal divano, non vanno nelle piazze. E mi pare
sia provato che, nelle piazze a protestare, almeno in Italia, ci vadano davvero
in pochi. Ma protestare sui social è un’ottima autoassoluzione, un sistema
consolatorio per sentirsi in pace con la coscienza e col mondo. Solo che il mondo non
si cambia col telefonino.
Luca Craia