Mi dispiace, perché avevo una gran stima di Landini. Alla
Fiom ha fatto un buon lavoro, ha fatto il sindacalista, cosa per cui è pagato,
e l’ha fatto bene. Più che altro, l’ha fatto, cosa rara in un Paese in cui i
sindacati fanno tutto meno che i sindacati, meno che gli interessi della classe
operaia che pure li mantiene. Invece, ascoltando il discorso di insediamento,
ho capito che non c’è speranza: anche Landini pensa che la CGIL non sia un
sindacato ma un partito politico, un’organizzazione che non ha come scopo la
tutela dei diritti dei lavoratori ma il sostegno a politiche che col lavoro
hanno poco o niente a cui vedere.
“Deve essere chiaro che questa CGIL, nel suo insieme, ha un’altra
idea di società. Noi siamo quelli che vogliamo cambiare questo Paese”, dice
Landini dal microfono, “noi vogliamo cambiare questa Italia. Noi siamo il
sindacato del cambiamento, non Salvini, non la Lega che ci sta portando
indietro”. Un ragionamento da leader politico, non da capo di un sindacato.
Landini ha fatto sapere di aver incontrato, come primo atto
ufficiale da Segretario Generale, l’ANPI. Non è andato a incontrare i
lavoratori ma i nipoti dei partigiani. È andato dall’ANPI “per dire con
chiarezza che la resistenza contro il fascismo non è finita e la dobbiamo
continuare tutti assieme, a proposito di cultura della differenza, di rispetto
delle persone, di accoglienza”. È quindi molto chiaro il programma del nuovo
Segretario, un programma da partito e non da sindacato, un programma che
potrebbe portare la CGIL a diventare un movimento politico a tutti gli effetti
e Landini a prendere la guida di quel poco che resta di una sinistra massacrata
proprio dagli stessi ragionamenti che lui propone e, soprattutto, dal fatto di
aver smesso di tutelare i diritti dei lavoratori.
Luca Craia