Sono sicuro che,
in questo istante, in qualche paesino terremotato, ci sia senz’altro qualcuno
che presenta un libro, che dà un’intervista, che accompagna giornalisti e blogger
alla scoperta delle macerie dimenticate, delle terre tremanti. Poi il libro,
ovviamente, sarà in vendita e ci sarà qualcuno, commosso dallo sguardo da
cerbiatto dell’autore e dal suo sincerissimo pathos, che lo comprerà. Così come
le visite turistiche alla distruzione verranno ovviamente remunerate. A
qualcuno il terremoto ha dato un’opportunità. Gente che prima non si sapeva esattamente
di cosa campasse, ora ha un qualcosa che assomiglia a un lavoro; gente che
prima non si sapeva chi fosse oggi viene chiamata “maestro”. Qualcuno si
lamenta perché di terremoto non si parla quasi più. Ecco, anche per questo
motivo non se ne parla: chi voleva il suo scampolo di celebrità, di gloria, chi voleva i
suoi quaranta denari di cartone, li ha avuti. Gli altri, invece, non sono stati
graditi, forse perché urlavano troppo, forse perché proponevano rabbia anziché parole
pietose. E ora ci sono solo le parole pietose a rimbalzare tra le mura crollate;
la rabbia c’è, quella dei terremotati, ma non c’è più il veicolo per farla
sentire, non ci sono più i fari accesi notte e giorno, non ci sono più i
megafoni. E la rabbia non si fotografa.
Luca Craia