Il lavoro, in
Italia, non c’è. Ossia, ce n’è poco, e quel poco che c’è bisogna farselo
bastare. Bisogna accontentarsi, farsi andare bene salari fa fame, altrimenti ci
dicono che siamo sfaticati, condizioni di lavoro disumane, mancato rispetto
delle più elementari norme di sicurezza. È tutto conseguente alla crisi
economica che ci attanaglia e dalla quale non riusciamo a uscire fuori, ma
anche di un mercato del lavoro che gioca al ribasso, forte dell’abbassamento
dei costi di manodopera dovuto alla forte offerta da parte dei cosiddetti
migranti. Si è avviata una spirale che porta in basso qualità, remunerazione e
sicurezza. E oggi c’è stato l’ennesimo morto, ucciso dal proprio lavoro.
Da gennaio ad
aprile 2019, secondo l’INAIL, i decessi sul lavoro sono stati 204, 14 in più
rispetto al 2018, il 7,4% di aumento. Più di una vittima al giorno. E il dato è
in aumento.
Ecco perché mi
indigno quando vedo i sindacati che fanno politica, si occupano di fare
polemica con Salvini o con Di Maio, fanno procalmi contro il Governo ma non un’azione
seria e concreta per risolvere questa situazione. Sono tutti indaffarati a
difendere i poveri migranti ma dimenticano i poveri operai italiani che, pure,
con le tessere e le trattenute li mantengono. E non capiscono, o fanno finta di
non capire, che è anche grazie a questo sistema malsano di immigrazione
incontrollata, questo nuovo schiavismo benedetto dalle sinistre e persino dal
Papa, che gli operai italiani (ma anche quelli stranieri che sono venuti a
lavorare da noi) muoiono sul lavoro.
Non si può
morire di lavoro nel 2019, in un Paese che si definisce civile, Non si può
morire di lavoro in un Paese che ha un sistema sindacale storicamente forte. Ma
succede. Succede perché i sindacati hanno smesso da troppo tempo di fare i sindacati.
Un piantarello, due frasi di circostanza quando capita il fattaccio, magari una
fiaccolata, e via a ragionar di quanto è fascista Salvini. Intanto la gente
muore.
Luca Craia