È curioso come la stessa società che
difende la sostanziale tratta di schiavi del mediterraneo con la giustificazione
della necessità di salvaguardare la vita umana non muova un dito e non sprechi
un fiato per il caso di Vincent Lambert. È un caso poco noto, perché i nostri
media, appiattiti sugli argomenti prediletti dal potere, sia di maggioranza che
di opposizione, ne parlano davvero poco. Lambert è un ex infermiere di 42 che è
ridotto in stato vegetativo dal 2008 a causa di un incidente automobilistico. L’uomo
è ricoverato presso il reparto di cure palliative dell’ospedale di Reims, il
cui responsabile, lo scorso 2 luglio, a stabilito di sospendere ogni
trattamento di nutrizione e idratazione nei confronti di Vincent. Si capisce
bene che, in questo modo, lo si è condannato a morte.
Il dibattito sulla vita persistente in
caso di stato vegetativo è ampio e molto articolato e non intendo addentrarmici
in un post come questo. Ritengo, comunque, che l’uomo sia padrone della propria
vita e che possa decidere di interromperla con una manifestazione chiara della
propria volontà. Parimenti, però, ritengo che nessuno possa essere autorizzato
a decidere circa la vita altrui, che rimane comunque sacra e inviolabile. Per
questo motivo penso, semplificando al massimo, ben inteso, che decidere di
sospendere i trattamenti che mantengono in vita un paziente incapace di
manifestare in alcun modo la propria volontà non sia legittimo e che farlo equivalga
a ucciderlo, perpetrando un omicidio.
In questo caso specifico sono gli
stessi familiari del paziente a opporsi all’interruzione dei trattamenti, non
avendo mai il loro congiunto manifestato in alcun modo la volontà di essere
sottoposto a eutanasia al verificarsi di determinate condizioni. Per questo motivo
i parenti di Vincent Lambert hanno sporto denuncia per omicidio premeditato.
La questione, però, oltre che morale è
anche politica. E torno all’incipit. Non ho trovato alcun moto di solidarietà
per i familiari di Lambert, né alcuna iniziativa a sostenere la loro tesi.
Eppure a stracciarsi le vesti per le morti nel mediterraneo sono in tanti, così
come sono giustamente in tanti i contrari alla pena di morte. Però questo è un
caso limite, difficile, si fa fatica prendere posizione, anche perché, come
dicevamo, circola poca informazione.
Credo invece che siamo di fronte a un’evoluzione
preoccupante della nostra società, che comincia a codificare il rifiuto per chi
non è produttivo, quindi utile alla stessa, mettendone fine all’esistenza in
maniera sistematica. Se il principio che muove chi condanna di fatto Lambert a
morire di fame e di sete dovesse passare, si aprirebbero scenari
raccapriccianti in cui sarebbe contemplabile persino mettere una scadenza temporale
alla vita. I segnali già ci sono, chiari e forti.