Ragionavo sugli anniversari che si
susseguono d’estate: via D’Amelio, Ustica, Bologna, Italicus e via discorrendo.
Sono anniversari importanti, perché dovrebbero servire da monito, dovrebbero
farci capire quanto sia delicata la democrazia in questo Paese e quanto sia
importante rimanere coesi almeno sulla difesa delle libertà costituzionali. Invece
ogni anniversario ci riporta a capitoli della nostra storia che non si sono mai
chiusi, storie senza finale, senza catarsi, senza redenzione alcuna. In Italia
le stragi, la violenza, la vita strappata alle persone e le persone strappate
alla loro vita, ai loro cari, non trovano giustizia, non trovano verità.
Non c’è un colpevole per questi fatti
di sangue. Come, in definitiva, non c’è nemmeno per altri atti contro la
Nazione e il suo Popolo. Il terrorismo politico, in Italia, sia esso fascista
che comunista, non ha mai avuto colpevoli. Non solo: quelli che la giustizia ha
riconosciuto tali, oggi godono di un’inspiegabile redenzione, di una nuova vita
sociale, di un perdono che supera la colpa ed erge la figura del reietto al
ruolo di maestro, sposta l’assassino dal margine della società alla sua
sommità.
Terroristi che, quarant’anni fa,
andavano in giro col mitra oggi parlano ai giovani universitari di filosofia e
politica, scrivono libri, sono considerati parte integrante del mondo
intellettuale. È più di una giustificazione della violenza, è un annullamento
della colpa radicale che sancisce l’uso politico della violenza come strumento
assimilato alla dialettica democratica. Il mondo intellettuale italiano, di
fatto, svaluta la vita dei cittadini e le radici della democrazia dando valore
al fine ultimo dell’obiettivo politico.
Le stragi fasciste e comuniste, quelle
di mafia e quelle evidentemente pilotate da pezzi dello Stato, hanno tutte l’obiettivo
di operare modifiche alla società non attraverso l’uso degli strumenti
democratici ma con l’utilizzo estremo della violenza. In Italia questo pare
essere normale, tra morti irrisolte e senza assassini e assassini che diventano
maestri di vita. In tutto questo diventa normale concettualmente l’utilizzo della
violenza come strumento politico. Molto pericoloso.
Luca
Craia