La chiesa è fragile, è noto. Ha subito diversi
crolli, nei secoli, probabilmente proprio per la conformazione geologica del
terreno su cui sorge. È quindi logico avere la massima attenzione, specie dopo
il terremoto del 2016 che ha causato danni leggeri, ma comunque danni che ci
sono e vanno sistemati e che, comunque, consigliano prudenza nel rendere il
tempio accessibile.
Per questo motivo San Francesco, la
Pievania, la chiesa centrale, la principale, la sede della parrocchia del
SS.Salvatore e della comunità ecclesiastica montegranarese, è chiusa ormai da
tre lunghissimi anni. Dicevamo che danni enormi non ci sono, ma nemmeno
leggerissimi e, vista la storia dell’edificio, è bene avere cautela. Quindi, da
un punto di vista prudenziale, è giusto che sia così, tanto più che le esigenze
parrocchiali possono essere sopperite dalle altre chiese, compresa SS.Filippo e
Giacomo provvidenzialmente ristrutturata pochi mesi prima del sisma (altrimenti
l’avremmo persa).
Ma una chiesa non è soltanto un tempio
religioso. Una chiesa svolge una funzione sociale importante, è un punto di
riferimento fisico, un polo di aggregazione, è il simbolo di una comunità al di
là della fede e del credo. Per questo, la Pievania chiusa da così tanto tempo è
un’autentica sciagura per Montegranaro, in particolare per il suo centro
storico.
Una chiesa aperta richiama i fedeli
alla messa, la messa della domenica, frequentatissima e momento forse unico in
cui il centro storico di Montegranaro era davvero vivo. Il catechismo, le
attività parrocchiali, ma anche la fruizione singola, il momento di
raccoglimento, senza trascurare la possibilità per eventuali turisti e
visitatori di entrare in chiesa semplicemente per vederla. Poi c’è il lato umorale:
un portone chiuso è quanto di più deprimente, respingente, allontanante si
possa pensare. La piazza di Montegranaro è un trionfo di portoni chiusi, specie
nei giorni di festa. E quello della chiesa è il più brutto a vedersi.
Pare che tutto sia fermo perché è ferma
la ricostruzione post-sisma e la Curia attende di sapere come muoversi per
riparare i danni del terremoto. Attende da tre anni come tutti i terremotati. E
anche il centro storico di Montegranaro attende, perdendo ogni domenica che
passa la speranza. Perché la gente, poi,
si abitua a non frequentare e, una volta abituata, è fatta. E non frequentando
più la chiesa non si frequenta più la piazza. La piazza muore, il centro muore
e, pensa un po’, muore tutto il paese, anche se non sembra.
Luca
Craia