Apro il giornale
di oggi e inizio a leggere un titolo: “Bambini di origine marocchina a lezione
anche di domenica per imparare la lingua”. Oohhh, mi dico, finalmente un’iniziativa
in direzione della vera integrazione. Poi mi accorgo che l’entusiasmo non mi ha
fatto leggere l’ultima parola, che è “araba”. Trasalisco. Praticamente mandiamo
i bambini arabi a scuola di domenica a imparare non la nostra lingua, non la
lingua del Paese dove vivono, dove un giorno probabilmente lavoreranno e si
creeranno un futuro, non insegniamo loro la sua storia, la sua cultura, le sue
tradizioni in modo che si integrino nel miglior modo possibile. Gli insegniamo
la lingua araba.
Nell’articolo si
spiega che l’iniziativa, voluta dall’Associazione Islamica di Montegranaro,
serve a far conoscere ai bambini di origine marocchina la lingua del loro Paese
di origine che, vivendo in Italia, non padroneggiano o addirittura ignorano,
così come la cultura e le tradizioni dei loro padri. Tutto molto bello, per
carità, ma l’iniziativa si svolgerà in un luogo istituzionale, la scuola, che
sarà aperta appositamente per questo di domenica. Fosse un’iniziativa interna
alla comunità islamica, non ci sarebbe nulla da ridire, anche se diretta a tutt’altra
cosa che l’integrazione, ma in questo caso è la nostra, di comunità, a farsi
carico della cosa, sono le nostre istituzioni.
E le nostre
istituzioni dovrebbero agire esattamente all’opposto, promuovendo e
amplificando in questi bambini la conoscenza della nostra cultura, non di
quella delle loro origini. In questo modo si acuiscono e accentuano soltanto le
differenze e l’integrazione rimane solo una bella parola per realizzare la
quale si sta facendo ben poco.
Luca
Craia