Non c’è
revisionismo nel film di Amelio, né c’è alcun intento di beatificazione, come
tanti dalla scomunica facile hanno cercato di vedere. C’è una storia di pietà
umana e una ricostruzione storica minimale ma precisa. C’è l’uomo Craxi, con le
sue colpe consapevoli e le sue recriminazioni umanamente condivisibili e
politicamente legittime. Craxi c’è tutto, almeno il Craxi che abbiamo
conosciuto noi che quell’epoca la ricordiamo bene, anzi, che ricordiamo bene
anche la precedente, quando Craxi aveva davvero il potere in mano e lo
esercitava.
È lì che
scaturisce la pietà: nel vedere il crollo repentino di un potente ridiventare
improvvisamente umano, fragile, vulnerabile. Ci si scorda molto spesso che
anche i potenti sono esseri umani, si dimentica specialmente quando i potenti
cadono, e in quel momento l’uomo soccombe al desiderio di vendetta, di rivalsa.
L’incontro di Craxi, al porto, coi turisti italiani dà in pochi secondi l’esatta
immagine del popolo forcaiolo, quello che ancora oggi grida vendetta dalle
pagine dei giornali e sui social e che non si cura del fatto che l’oggetto del
proprio odio sia comunque un uomo.
Non è vero che il
film non sia politico. Il film di Amelio è anche politico, ed è un atto di
accusa politico forte, magistrale, preciso. È preciso nel momento in cui la
televisione mostra l’intervista di Vespa a Berlusconi, un’accusa che si capisce
se si ricorda la storia recente d’Italia, e si ricordano i fatti a cui ci si
riferisce, a quella politica chiamata a sostituire quella abbattuta da Tangentopoli,
quel Berlusconi che attacca velatamente D’Alema, il tutto in sottofondo, mentre
Craxi, la politica abbattuta, fa altre cose. E quelli erano D’Alema e
Berlusconi, poi sono venuti i Di Maio e i Salvini.
È un atto di
accusa verso il sistema della magistratura, utilizzato come strumento politico,
forse proprio da quello che era “l’unico grande partito di opposizione a non
essere coinvolto”. Un vizietto che ancora non si è perso. Poi c’è l’uomo, solo,
abbandonato, senza cure adeguate, oggetto ancora di invidia e di desiderio di
rivalsa, ancora temuto per i suoi segreti non svelati.
Cinematograficamente
è un grande film, con una regia magistrale e un’interpretazione corale intensa
e credibile. Favino non c’è, è sparito, c’è Craxi al posto suo. Bella la
fotografia, con una luce intensa, a tratti fastidiosa, ma fredda. Montaggio
sublime, che evidenzia le allegorie di cui tutto il film è disseminato.
In definitiva non
mi sorprende la baca alla bocca che ho visto in certi giornalisti e in certi
esperti politici. Nell’epoca di Conte, vedere la caduta di un grande, nel bene
e nel male, potrebbe far fare i conti. E conti sono comunque impietosi.
Luca
Craia