Sono totalmente d’accordo con chi ha chiesto di non
far esibire Junior Cally, anche se il problema
di Sanremo è ben più ampio e si può sintetizzare nel fatto che, da qualche
anno, si sta cercando di fare di Sanremo qualcosa che non è. Sanremo è il
festival della canzone italiana. Dargli valenze politiche come è cominciato a
fare con i festival condotti da Fazio e come sta molto maldestramente facendo
quest’anno Amadeus, è sbagliato e produce mostruosità. Già l’anno scorso
abbiamo visto sul palco dell’Aristo gente che dovrebbe essere altrove, sia a
esibirsi che a farci la morale. Quest’anno, con l’inadeguatezza ormai
conclamata del direttore artistico, stiamo raschiando il fondo del barile, tra
giornaliste antisioniste e antitaliane e rapper che inneggiano alla violenza.
Ma, come sempre, Sanremo è lo
specchio, la manifestazione spettacolare della società italiana. Ed è qui la
cosa che preoccupa, anzi, spaventa. Perché il problema non è tanto che Junior
Cally e quelli della sua specie arrivino a Sanremo, quanto che Junior Cally e
quelli della sua specie sono gli idoli dei ragazzini, ragazzini che vanno ad
affollarsi in discoteche improbabili per poi morire schiacciati dalla folla,
ragazzini che bevono i testi abietti di questi presunti artisti e li assimilano
culturalmente, in maniera silenziosa e subdola. Quando poi il mondo dello spettacolo
accredita questi personaggi, mandandoli a Sanremo, a XFactor o chissà dove
altro ancora, siamo bel oltre lo scandalo.
Senza invocare la censura, perché qui
si tratta di buon senso e nient’altro, chi gestisce la comunicazione di massa
deve essere responsabile. Invece qui si dimostra che quello che conta è solo lo
spettacolo e non il suo contenuto. È un’altra faccia della frastagliata
problematica del divertimento malato, dello sballo, degli orari confusi tra
notte e giorno, tutta una sfilza di messaggi che arrivano ai nostri giovani e
fanno legittimamente preoccupare su che tipo di formazione stiamo dando a chi,
tra poco, guiderà il mondo.
Luca Craia