Se ci piacesse
fare il giochino di chi non perde mai, quello che si faceva un tempo e nel
quale ognuno trovava motivo di soddisfazione anche nei risultati elettorali più
miseri, potremmo anche dire che, in Emilia Romagna, la destra non poteva
sperare di meglio. Se invece vogliamo analizzare la realtà, è evidente che
siamo di fronte a una sonora sconfitta. Sonora, perché i sondaggi dicevano un’altra
cosa. Sonora perché la Lega ha perso un’occasione, e l’ha persa male, con una
campagna elettorale strillata, sguaiata, da bulletti di terza media.
E non mitiga certo
la sconfitta il risultato calabrese, un risultato targato Forza Italia, su cui
l’highlander Berlusconi ha messo il timbro da tempo. Sommando le due cose, la
destra che si poneva l’obiettivo di essere alternativa alla sinistra, quella
sinistra finta che somiglia tanto a Berlusconi, ha perso l’occasione. Non l’ultima
occasione, ben inteso, ma un’occasione importante. In Emilia Romagna si
conferma lo status quo, così come in Calabria, con una Lega che doveva essere
protagonista e, invece, da una parte è sconfitta e dall’altra è comprimaria.
Il risultato va
analizzato e deve portare a delle valutazioni, valutazioni necessarie
altrimenti La Lega rischia di dissipare un vantaggio che pareva consolidato. La
Lega ha perso perché la strategia dello scontro non paga più, perché la gente
si è stancata di grida, slogan e pagliacciate. Quell’elettorato moderato, che
in Italia ha sempre rappresentato l’elemento che fa la differenza tra il
vincere e il perdere, tra il governare e lo stare all’opposizione, non ha
premiato, come era prevedibile, la strategia dei citofoni.
Non credo che
questo possa mettere in discussione la leadership di Salvini, ma può, anzi,
deve imporre una riflessione sulle strategie e sui contenuti, che sicuramente
ci sono, ma non vengono comunicati adeguatamente. Oggi l’elettore di centro vuole
sapere come si governerà, che progetto si ha, a cosa si metterà mano e come vi
si metterà mano. In Emilia Romagna, votando PD, l’elettore ha scelto la
sicurezza di non cambiare, di lasciare le cose come stanno piuttosto che affidarsi
a qualcuno che vuole cambiare, sì, ma non dice come e cosa. In Calabria lo
stesso, l’elettore ha scelto di non cambiare, e si è affidato a Berlusconi, al
datore di lavoro di Mangano, al socio di Dell’Utri.
E tutto questo
avviene mentre coloro che volevano cambiare tutto, rivoltare l’Italia come un
calzino, vanno velocemente verso l’oblio. Il Movimento 5 Stelle, come
prevedibile, sparisce con inesorabile regolarità, perdendo elettori, prima a
favore della Lega e poi del PD. Un peccato, un’altra occasione persa.
Luca
Craia