È finita la
benzina e la macchina si ferma. Un sacco di parole per dire quello che in molti
sospettavamo: le Sardine erano un movimento di pancia, come ce ne sono tanti, e
hanno funzionato finchè si trattava di riempire le piazze per insultare Salvini
o Meloni. Smorzata la rabbia ma, soprattutto, impedito l’uso delle piazze, le
Sardine non hanno più nient’altro da dire. Così il leader dal sorriso perenne,
Mattia Santori, scrive una lettera tra lo stizzito e il deluso, indirizzata
agli attivisti, in cui accusa personaggi fantomatici e non nominati di voler
trasformare il movimento in qualcosa di utile solo ad alcuni, si schernisce
dicendo che si è persa la dimensione morale per inseguire quella politica, si
scusa dicendo che siamo tutti un po’ stanchi ma, in sostanza, prende atto del
fatto che i contenuti non ci sono, e non ci sono mai stati.
Qualcosa resterà
senz’altro di questa bislacca esperienza, di questo sfogo collettivo alle
frustrazioni di una sinistra che ha perso ideali ed idee e si fa rappresentare
da gente che, ai tempi di Berlinguer, non sarebbe stata a sinistra nemmeno dentro
la Democrazia Cristiana. Resterà la lezione, che ogni tanto va rinfrescata, che
la gente va portata in piazza, magari con qualche slogan accattivante, magari
inventandosi un nemico da abbattere, da appendere a testa in giù; e, una volta
portata in piazza, qualcosa ne nasce di sicuro: un po’ di voti, qualche nuovo
candidato, una goccia di linfa vitale per una parte politica sempre più grigia,
sempre più arrotolata su se stessa, sempre più distante dalla realtà e dalla
gente.
Fine, Sardine pescate
da un pescatore che nuotava insieme a loro. Può anche darsi che si
riaffacceranno, anzi, quasi certo che le vedremo in qualche lista elettorale, a
cercare di sfruttare quel consenso effimero conquistato gridando il nulla nei
megafoni. Ma il fenomeno si è ammosciato, il pesce è fuori dall’acqua e, come
si sa, a puzzare non ci mette niente.
Luca Craia