Le chiese non sono un problema del Vaticano, come tanti spesso dicono
dimostrando una completa incoscienza della nostra storia e della nostra
cultura, nonché scarsa lungimiranza culturale ed economica. Le chiese sono un
patrimonio delle comunità e sono un bene prezioso per il Paese Italia che, in
futuro, deve puntare decisamente al turismo. Una chiesa chiusa è un danno per
la comunità in quanto a quella comunità viene così a mancare un punto di
riferimento sociale fondamentale, ed è un danno economico per tutti, perché intorno
alle nostre chiese, anche a quelle che reputiamo di scarso valore artistico e
storico di fronte a templi più preziosi, gira il turismo culturale, e ci girerà
sempre di più.
Eppure le nostre chiese stanno viaggiando verso un futuro fosco. La
manutenzione degli edifici sacri, nella stragrande maggioranza dei casi, è
affidata alle parrocchie, anche quando questi edifici rivestono una notevole
importanza, reale o potenziale, per l’economia delle città in cui insistono. Le
parrocchie, però, diventano sempre più povere, in quanto il loro principale
sostentamento deriva dalle offerte dei fedeli alle funzioni e le funzioni sono
sempre meno frequentate. Va anche considerato l’impoverimento generale che
abbassa il valore medio delle offerte, ed ecco qua che non ci sono più soldi
per effettuare una manutenzione adeguata alle nostre chiese.
Temo che, di questo passo, tempo pochi anni, diciamo qualche decennio, potremmo
perdere gran parte di questo patrimonio. Ovviamente non parlo di chiese
importanti, di quelle nelle città d’arte o di quelle che contengono capolavori
dal valore inestimabile. Parlo delle chiese di paese, che pure sono preziosissime,
contengono spessissimo opere di grande rilievo e comunque rivestono un ruolo
fondamentale nell’economia turistica del territorio su cui sorgono. Il rischio
di perderle è concreto e nefasto, e occorre agire subito per scongiurarlo,
anche se, da quello che vedo e con la mentalità sempre più ottusa che dilaga,
anche a causa di un sostanziale abbassamento del livello culturale, c’è poco da
essere ottimisti.
Luca Craia