Finito il lockdown, lo scorso maggio, è ripartito
tutto, o quasi. Il cinema, per esempio, poteva ripartire ma con enormi
restrizioni legate agli obblighi di distanziamento, restrizioni che hanno reso antieconomico
riaprire le sale. A oggi le sale aperte, in Italia, sono circa il 10% e stanno
lavorando male, spesso rimettendo, proprio per l’impossibilità di sfruttare la
capienza massima, nonché per gli obblighi relativi alla sicurezza sanitaria.
Il futuro non appare roseo per niente, e nelle Marche
che la catena UCI, che gestiva multisala in tutta la regione, a Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Jesi e Porto
Sant'Elpidio, non ha rinnovato l’accordo con la proprietà e di fatto le sale non
hanno mai riaperto, mentre nel resto d’Italia stanno riaprendo, ma a rilento e
solo nei grandi centri dove i numeri sembrano essere più ottimistici.
Che
chiudano i multisala sarebbe anche una buona notizia, per la conseguente
possibile boccata di ossigeno per le sale tradizionali. Ma, essendo le sale
tradizionali per lo più chiuse anch’esse per effetto del covid, la domanda che
viene da farsi interessa il futuro del cinema. Il cinema è arte, p la decima
musa, e soprattutto è cultura. Credo sia legittimo interrogarsi e capire come
si voglia salvaguardare quest’arte e chi ci mette in grado di fruirne. Il cinema
in casa, con le varie piattaforme moderne, è un palliativo, perché per godere
in pieno dell’arte e del messaggio in essa contenuto non si può prescindere dal
grande schermo e dalla sala cinematografica.
Osservo
la diatriba sulla tutela della categoria dei titolari di sale da ballo, pur
comprendendo il loro punti di vista, ma mi domando come mai nessuno si muova per
tutelare il cinema nella sua naturale collocazione. Sono preoccupato per il
futuro delle sale, ma pare che questa preoccupazione investa solo pochi appassionati
ma non coinvolga l’opinione pubblica, nonostante le conseguenze anche economiche e sull'occupazione. È un male: il cinema va protetto e
tutelato, non possiamo perdere questa fondamentale parte della cultura moderna.
Luca Craia