Una carriera televisiva buttata via per superficialità e per l’ansia di consenso. Chef Rubio, pseudonimo di Gabriele Rubini da Frascati, si è bruciato con le sue stesse mani vomitando odio a destra e a manca, ma più che altro a destra, dall’alto della sua supremazia di pseudo-comunista, ed è riuscito a rovinarsi la carriera quando dall’antisionismo spinto è sconfinato nell’antisemitismo istigando odio contro lo Stato di Israele e gli Israeliani. Nella società che si inventa una commissione contro l’odio, questo personaggetto continua a vomitare disprezzo senza che nessuno intervenga, col placet di Twitter che lo lascia indisturbato pur censurando cose molto più lievi delle sue.
Rubio è finito ma continua a seminare odio contro Israele, evidentemente nell’ansia di trovare un po’ della visibilità perduta. E ogni tanto qualcuno ci casca e fa delle sue sputazzate di bile una notizia. Lo faccio anche io, rendendomi perfettamente conto di fare il suo gioco, ma mi piace ogni tanto stigmatizzare questo individuo come splendido esempio dell’ottusità di sinistra, che non ha nulla a che invidiare e a tratti supera quella di estrema destra. Del resto, uno che ha fatto televisione a livelli nazionali e prende sui post al massimo 200 like, è molto peggio che finito.
Però l’odio che sparge è pericoloso, perché 200 persone che condividono le assurdità che dice sono comunque allarmanti. Non sanno, non conoscono, ma si schierano per ragion presa o perché gli è simpatico il personaggio. Rubio travisa la storia, diffonde fake news, infanga e genera odio contro gli Israeliani e trova consenso, poco, ma ne trova. E quando si inventa una campagna denigratoria contro Totti, Del Piero e Pirlo, rei di aver messo soltanto piede in Israele, riesca a far parlare un poco di sé. Ed è felice. Si accontenta di poco, ma rischia di fare grandi danni. Perché vedete, basto solo un deficiente che lo prenda sul serio e passi dalle parole ai fatti, e i danni possono essere seri, molto seri. E, come i social ci dimostrano quotidianamente, i deficienti non è che ci manchino, anzi.
Luca Craia
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