È giusto che tutti proviamo sgomento di fronte all’ormai quasi certo omicidio della giovane di origine pakistana uccisa dai familiari perché rifiutava le imposizioni culturali della sua famiglia. È un fatto gravissimo, inaccettabile, per il quale personalmente mi sentirei di chiedere la massima severità che, purtroppo, in Italia non esiste. Mi auguro con forza che i responsabili siano giudicati e condannati alla pena più dura, rammaricandomi che in Italia le pene non siano abbastanza dure per casi come questi.
Però inorridisco di fronte alle manifestazioni di violenza verbale che leggo sui social. Ancora una volta Facebook e le altre piattaforme simili si rivelano palestra per gli istinti peggiori, e ognuno di noi si sente autorizzato a vomitarci dentro tutta la rabbia, la frustrazione, la cattiveria che reprime nella convenzione del vivere civile. Su Facebook c’è una presunzione di impunità che fa sentire autorizzati ad esprimere il peggio di sé.
Il problema è che questo non è privo di conseguenze, e tutto questo odio e violenza che troviamo sui social di ripercuote nella vita reale. Con l’avvento dei social la tensione tra le persone è aumentata esponenzialmente, la litigiosità sulle pagine virtuali diventa violenza nella vita reale, logora i rapporti, complica il vivere civile.
Continuo a pensare che tutto questo sia, se non studiato, opportunamente cavalcato per indurre un nuovo “non pensiero”, una semplificazione dei ragionamenti che diventano in questo modo influenzabili tramite la diffusione delle cosiddette fake news, delle dichiarazioni politiche strumentali, delle informazioni manipolate. I social stanno diventando lo strumento tramite il quale guidare il popolo-gregge, dividendolo tra due fazioni, tra il bianco e il nero, senza sfumature e senza capacità di analisi e ragionamento.
La violenza verbale, la cattiveria che serpeggia in ogni post dei social, anche nei più innocui, stanno a testimoniare come il processo sia a buon punto. La nostra libertà è fortemente in pericolo, ma siamo troppo impegnati a litigare sul nulla che non ce ne accorgiamo.
Luca Craia
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