Già che dare 7 anni per un tentato omicidio mi pare una burla, una burla crudele per chi il tentato omicidio l’ha subito, che l’ha raccontato per miracolo ma che, per raccontarlo, ha dovuto soffrire le pene dell’inferno per mesi, prima per curare la ferita che a momenti lo manda all’altro mondo, poi per riprendere una capacità respiratoria accettabile. Io lo so cosa ha subito il Brigadiere Capo Iadonato perché è un mio amico e ho seguito da vicino la sua vicenda.
Era già una burla così, dicevo, ma ora arriva una sentenza della Cassazione che lascia sbigottiti, perché annulla parzialmente quella di primo grado, limitatamente alla parte sanzionatoria. In parole povere, non è che il Marocchino non abbia accoltellato il Brigadiere, semplicemente 7 anni sembra siano troppi. 7 anni, secondo la Cassazione, sono troppi per un tentato omicidio.
Ma non me la prendo con la Cassazione, che ha solo applicato, spero con coscienza, la legge. Non me la prendo nemmeno con l’avvocato che ha difeso l’accoltellatore, che ha fatto l’avvocato e con la coscienza deve essere per forza abituato a discorrere. Me la prendo con la mentalità che ha prodotto un obbrobrio legislativo tale da consentire a qualcuno di ritenere 7 anni una pena troppo grossa per un tentato omicidio. Una mentalità che parte dal garantismo, giustissimo e condivisibilissimo e lo fa diventare una mostruosità, un qualcosa che annulla totalmente il concetto di pena commisurata al reato e la sua funzione non solo preventiva ma anche retributiva e rieducativa. Non c’è deterrente se la pena è risibile, non c’è ristabilimento della legalità, non c’è rieducazione, perché chi delinque sa che sostanzialmente lo può fare quasi a costo zero.
La vicenda di cui sto parlando è emblematica del perché in Italia la giustizia non funziona e del perché la gente perde fiducia nella giustizia.
Luca Craia
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