Avete presente
come funzionano le piattaforme online per la vendita dell’usato? Ce ne sono
tante, alcune molto note, qualcuna ancora di nicchia, ma è un fenomeno in piena
espansione e sempre più persone lo utilizzano. Il sistema è semplice: vuoi
liberarti dei tuoi abiti usati (ma anche altri articoli, come oggetti per la
casa, giocattoli, ecc…)? Li puoi vendere ad altri privati come te attraverso
queste piattaforme. Fai una foto, la pubblichi e altri utenti interessati al
tuo articolo ti fanno delle offerte. Se ti soddisfano, vendi. È un modo come un
altro per realizzare qualche soldo liberandosi di merce inutilizzata.
Fin qui tutto bene, ma c’è qualcosa che non torna:
attraverso questo sistema, qualcuno più furbo degli altri ha creato un piccolo
business personale totalmente esentasse. In pratica, compri un oggetto usato da
un altro utente, mettiamo a 1 €, e poi lo rimetti in vendita a 2€. In questo
modo ogni privato può diventare un piccolo negozio online di abbigliamento,
giocattoli, casalinghi. Non ci sono tasse, non c’è IVA e, soprattutto, non c’è
economia di scambio, nel senso che il commercio tradizionale, quello che paga
le tasse, le utenze, gli affitti e fa girare l’economia, ha un evidente danno
sulle vendite.
Danno che non
produce alcuna ricchezza, che non produce gettito per lo Stato e che invece
arricchisce la piattaforma che solitamente le tasse non le paga in Italia, non
essendo italiana. Un ulteriore stortura del commercio online, settore che
sembra al di sopra di leggi e buon senso.
Luca Craia
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